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| 208 | le selve |
E tante volte la famosa Andromeda,
Di paterna libidine bruttata.
Dinanzi a lei non Mirtide e Prassilla985
Trarrebbero a confronto i versi loro,
Non l’inspirata Nosside e la dolce
Agàcle e Anite e Erinna, che i trecento
Suoi versi sparge di castalia ambrosia;
Non la candida Miro, e non la fiera990
Telesilla, né lei, che, nelle bende
Stretto l’effuso crin, della tremenda
Pallade canta l’egida, Corinna.
E le Pierie, decima tra loro
Voller di Lesbo la fanciulla assisa,995
Liete, di nove fior serto cingendo
Legato in oro a’ suoi lucenti crini.
Di qui la venosina ape gioconda47
Il mel suo trasse con ronzío soave;
Famosam Andromeden patriaque libidine tupem.630
Non illi Praxilla suos praedoctaque Nossis
Contulerint Myrtisque modos, non dulci Agacles,
Non Anyte, non quae versus Erinna trecentos
Castalio ceu melle rigat, non candida Myro.Fonte/commento: Barbèra, 1867
Nec Thelesilla ferox, non quae canit aegida saevae635
Pallados effusum crinem vittata Corinna.
Illam etiam decimo cunctae accepere sedili
Pierides, sertumque novem de floribus auro
Contextum nitidis lactae imposuere capillis.
Hinc venusina favos dulci jucunda susurro640
