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204 | le selve |
Al suol radeva, del poeta insigne
Rispettò la dimora; e, pur tra mezzo
Alle spade la sua gente secura,
Ringiovanir le ceneri sentía,
Mercé la fama che giammai non muore.915
Né te, veglio preclaro, Anacreonte,
Io scorderò, cui cinge un bicolore
Racemo il fronte, a cui gl’inni son cari40
E gli spumanti calici di vino,
Mentre in diversi amori il cor travagli;920
Poi ch’or la chioma dell’efèbo tracio
Ad ammirar sei tratto, ora Batillo
Di Samo a celebrar (Nemesi il vuole),
Ora Euripile esalti ed or Megisto,
Teneri adolescenti; infin che d’uva,925
Soffocandoti, un acino ti spense.
E tu, bollente Alcèo, di Lico i neri41
Occhi e la nera chioma e il prezïoso
Quae septemgeminas populabant undique Thebas,
Exparvêre donum tanti tamen urere vatis,
Et sua posteritas medios quoque tuta per enses
Sensit inexhausta cinerem juvenescere fama.
Non ego te, longo praesignis Anacreon aevo,585
Transierim, bicolore caput redimite racemo;
Cui citharae cordi, cui nigri pocula Bacchi
Semper, et ancipiti stimulans Amathusia cura:
Nam modo threicii crinem miraris ephebi,
Nunc samium celebras (jubet Adrastea) Bathyllum,590
Nunc teneram Eurypylen tenerumque Megistea laudas:
Tandem acino passae cadis interceptus ab uvae.
Ipso Lyci nigros oculos nigrumque capillum,