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202 | le selve |
In alto, lungi, oltre le nubi spazia39
Tebano cigno, Pindaro, a cui l’api875
Soavemente il giovinetto labro
Di nettareo licor sparsero; mentre
Nella quïete del meriggio dava
Il fanciullo ristoro al corpo lasso,
Una molle spirante aura di sonno.880
Ma giustamente di Tanagra rise
La poetessa, allor ch’egli nel carme
Suo de’ miti versò tutta la corba;
La glorïosa palma indi all’ardito
Nel poetico agone ella rapiva,885
Privilegiata dell’eolia lingua,
E d’una leggiadria maravigliosa.
Ei d’Agatócle della voce altero
Disse le gare olimpiche, e la fronda
Di che gl’istmici e i pitici campioni890
Ricingevan le tempie, e le Nemèe
Selve, che il generato da la luna
Aerios procul in tractus et nubila supra
Pindarus it, dircaeus olor, cui nectare blandae
Os tenerum libastis apes, dum fessa levaret560
Membra quiete puer mollem spirantia somnum.
Sed tanagraea suo mox jure poetria risit,
Irrita qui toto sereret figmenta canistro;
Tum certare auso palmam intercepit opimam,
Aeoliis praelata modis atque illice forma.565
Ille, agathoclea subnisus voce, coronas
Dixit olympiacas, et qua victoribus Isthmos
Fronde comam Delphique tegant nemeaeaque tesqua
Lunigenam mentita feram; tum numina divûm,