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188 | le selve |
Ne’ flutti de’ colpevoli le membra,625
L’ombra illustre a placar: di Minia il suolo
Nel tumulo fatai l’ossa or ne accoglie,
L’ossa di cui dié una cornacchia indizio.
Né men la Musa di Pisandro arreca19
Alla steril Camiro e nome e gloria,630
Di Pisandro che armò di poderosa
Clava il magnanim’Ercole. Ed uguale
Al Clario veglio e a quel d’Ascra è per fermo
Nella gloria colui che novamente20
Le dodici fatiche osa ridire,635
E, a cominciar dal Caos, tutta de’ vati
Precedenti le favole ritesse.
Né Calcide del suo figlio si tace,21
Euforïon, che, scompigliatamente,
Mopsopia canta; né ritegno ha Sparta640
Del canto di Tirteo di menar vanto,
Mersa mari et meritam placarent mortibus umbram:
Ossaque fatali tellus minyea sepulchro395
Nunc habet, annosae conspectu inventa volucris.
Nec quae magnanimum nodosae robore clavae
Instruit Alciden, nullum nomenque decusque
Conciliat sterili Pisandria musa Camiro.
Nec qui bissenos iterum memorare labores400
Audet, et a primo vatum figmenta priorum
Usque chao repetit; non saltem laudibus aequet
Ascraeum clariumque senes. Neque Chalcis alumnum
Euphoriona tacet, vario qui personat ore
Mopsopiam; neque Tyrtaei Lacedaemona cantu405