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182 | le selve |
Lasciò andar la sua lira, e lui, che molto
E indarno urlava, e protendea le mani,
E caldamente supplicava, uccise.
Ahimé! non era, no, premio codesto520
Convenïente al suo labro inspirato.
Or di Metimna il vate è a salvamento12
Da un delfin tratto; ora, le stesse Muse
Preteso avendo d’emular nel canto,
Tamiri l’arte della cetra scorda,525
E della vista è orbato: ei, chi l’ignora?,
Primo (se il ver l’antichità ci narra)13
Ad illeciti amor con le lusinghe
I giovinetti a trarre; ei ch’avea terzo
Nelle gare poetiche degl’inni530
Una famosa palma conseguita;
Però che il genitor suo Filammone
Eragli innanzi andato, e Crisotèmi
Di Creta entrambi superato avea.
Contudit ora lyra, et clamantem plurima frustra325
Tendentemque manus obtestantemque peremit,
Heu non ista piae meritum sibi praemia linguae!
Jam methymnaeum vatem delphine revectum;
Jam Thamyram cantu doctas anteire sorores
Fretum, mox citharae damnatum et luminis orbum;330
Qui nescit? princeps idem (ni vana vetustas)
Ad faciles vencrem inlicitam convertit ephebos,
Insignemque sacro tulerat certamine palmam
Tertius: hoc etenini cirrhaeus honore Philammon
Claruit ante pater; sed cres praevenerat ambos335