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168 | le selve |
L’uom, disdegnandolo a compagno, scaccia;
Alfin, signore della vuota stanza,265
Fuor delle membra assedïate irrompe,
E i carmi suoi dall’uman petto esprime.
Non essi il cigno col suo dolce canto
Varrebbe a superar, non sapïente
Cetera od arpa, che, da alterne dita270
Scossa, con voce tenera sospira;
E neppur quell’amabile su tutti
Suono ch’erompe da ineguali canne7
Al percuoter de’ tasti ed all’ansare
De’ mantici compressi, e a cui risponde275
Emulatore un pio coro osannante,
A gara provocandosi. Del nume
Or ti fia nota la presenza in breve.
Dall’anelante bocca esce la voce
Possente oltre ogni immaginare, quanto280
Quella ch’ebbe ad empir gli antri una volta
Exstimulans; sociumque hominem indignatus, ad imas
Cunctantem absterret latebras; vacua ipse potitus
Sede, per obsessos semet tandem egerit artus,
Inque suos humana ciet praecordia cantus.
Non illos cycnaea mele, non daedala chordis170
Apta fides, non quae duplici geniale resultant
Naula citata manu, non vincat dulcior ille
Flatus inaequales digitis pulsantibus implens
Compresso de folle tubas, pius aemula contra
Jubila cui referunt chorus alternisque lacessunt.175
Agnoscas propere numen. Suspirat anhelo
Grandior ore sonus, quantusque impleverit antrum