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di angelo poliziano | 165 |
Fama è che Giove, allora quando insorge,
E le fiere ciclopiche saette
Agita in pugno, ed il creato scuote
Col rombo spaventevole de’ tuoni,215
E solca di baglior truci le nubi,
Se il divo Apollo dal suo plettro mai
Sprigioni accordi, se l’alterno canto
Pie le Muse disciolgano, si plachi,
E tutto quanto l’universo avvivi220
Di sua letizia e il ciel tosto sereni.
Dunque orsú, via, quest’impeto divino4
Che di tant’estro l’uman core infiamma;
Le cosí multiformi opere, figlie
Dell’inspirata mente al ciel congiunta;225
Color che, arditi d’intrecciarsi un lauro,
Premio alla dotta fronte, un immortale
Nome affidaron all’età future;
Ipsum fama Jovem, cum jam cyclopea magna
Tela manu quatit insurgens tonitruque coruscat
Horrisono et caecis miscet cava nubila flammis,
Ut tamen increpuit nervis et pectine pulcher135
Delius alternumque piae cecinêre sorores,
Placari totumque sua diffundure mundum
Laeticia et subito coelum instaurare sereno.
Nunc age, qui tanto sacer hic furor incitet oestro
Corda virûm, quam multiplices ferat enthea partus140
Mens alto cognata polo, qui praemia doctae
Frontis apollineas ausi sibi nectere lauros
Inclyta perpetuis mandarunt nomina saeclis,