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D’onor cotanto andrá ne’ tardi secoli
privilegiata l’ immortal Messiade
ove l’Atteso da quaranta secoli
compie il disegno dell’augusta Triade:
opra celeste, a cui rimpetto i secoli
del sommo vanto scemeran l' Iliade
quando dal vero non iscocchi erronico,
teso dal patrio amor, l’arco teutonico.
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Ma tu sei nostro, o Metastasio, o genio
caro piú ch’altri al bel mondo femmineo:
facondia a’ labbri tuoi spirò Cillenio;
le Grazie vi stillar mele apollineo.
Rara, in chi bebbe al fonte almo ippocrenio,
teco è Onestá, svelata il bel virgineo
volto, e sorride, che Amor prenda e domini
per te similemente i numi e gli uomini.
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Pur quel giocar d’affetti e quel sì magico
de’ sensi incanto e quel romanzo eroico
tanto son lungi dal decoro tragico,
quanto dal mar d’Atlante il flutto euboico.
Strano a vedersi un fier roman, di tragico
comico fatto, epicureo di stoico.
Miseri eroi, che sì d’amor folleggiano,
giostran per donna e nel morir gorgheggiano!
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Te studio alfin, che i dì sereni e i nubili,
i lunghi, i brevi e quei che han fiori e pampano,
e le tempre dell’anno indissolubili
orni degli estri che nel sen t’avvampano.
Van, come in cielo, le stagion volubili
ne' tuoi versi alternando, e si ristampano
d’esse gli aspetti sì fra lor dissimili,
che dubbio è se tu il vero, o il ver te assimili.