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248 | LA FERONIADE |
785Cor la sostenne: e la virtude umana
Abbandonata si velò la fronte.
Nella comun sventura erasi Timbro,
Dopo molti in cercar la sua fedele
Scórsi perigli, l’ultimo su l’erta
790Spinto in sicuro, e fra i dolenti amici
Di Larina inchiedea: Larina intorno,
Larina iva chiamando, e forsennato
Con le man tese e co’ stillanti crini
Per la balza scorrea; quando spumosa
795L’onda che n’ebbe una pietà crudele,
La morta salma gliene spinse al piede.
Ahi vista! ahi, Timbro che facesti allora?
La raccolse quel misero, ed in braccio
La si recò; né pianse ei già1, ché tanto
800Non permise il dolor; ma freddo e muto
Pendé gran pezza sul funesto incarco,
Poi mise un grido doloroso e disse:
Cosí mi torni? e son questi gli amplessi
Che mi dovevi? e questi i baci2? e ch’io,
805Ch’io sopravviva?... E non seguí: ma stette
Sovr’essa immoto con le luci alquanto;
Poi sull’estinta abbandonossi, e i volti
E le labbra confuse; e cosí stretto
Si versò disperato entro dell’onda,
810Che li ravvolse, e sovra lor si chiuse3.
- ↑ 799. né pianse ecc.: Dante Inf. xxxiii, 49: «Io non piangeva; sí dentro impietrai».
- ↑ 803. e son questi ecc.: Tasso II, 33: «Questo dunque è quel laccio ond’io sperai Teco accoppiarmi in compagnia di vita?»
- ↑ 810. e sovra lor si chiuse: Dante Inf. xxvi, 142: «Infin che ’l mar fu sopra noi richiuso».
ecc.: cfr. il v. 379 e la nota corr., p. 95.
CANTO SECONDO
Contenuto: S’allegrò della sua vendetta Giunone: ma poi, vedendo sopra il gran lago delle acque ergere le torri al cielo alcuna delle volsche città e intatto il bosco di Feronia, di nuovo irata, volò nella fucina di Vulcano (1-74), tutto intento, co’ suoi Ciclopi, a fabbricare un gran piedestallo di bronzo e d’oro a Diana Nemorense, in cui aveva inciso varie mirabili figure ed anche i casi di Luigi e Costanza Braschi (75-222). Lui Giunone pregò che svegliasse i terremoti e incendiasse tutto ciò che sopravanzava alla rovina delle acque (223-290). Ed egli, dopo aver detto d’esser lieto di far cosa grata a lei e ingrata a Giove, che già lo precipitò dal cielo (291-360), mosse, con bragia inestinguibile, chiusa in cavo rame; e, giunto nella valle pontina, incendiò gli zolfi e le piriti e gli asfalti oleosi di sotterra, che scop-