Pagina:Poesie (Monti).djvu/247


CANTO PRIMO 231

     Lascerò ne’ miei carmi inonorato,
     Babilonico salcio1, che piangente
     245Ami nomarti, e or sovra i laghi e i fonti
     Spandi la pioggia de’ tuoi lunghi crini,
     Or su le tombe degli amati estinti,
     Che ne’ cupi silenzii della notte
     Escono consolate ombre a raccôrre
     250Sul freddo sasso degli amici il pianto.
     Tu non vanti dei lauri e delle querce
     Il trïonfale onor2, ma delle Muse,
     Che di tenere idee pascon la mente,
     Agli studi sei caro; e da’ tuoi rami
     255Pendon l’arpe e le cetre onde si sparge
     Di pia dolcezza il cor degl’infelici.
     Salve, sacra al dolor mistica pianta;
     E l’umil zolla che i mortali avanzi
     Del mio Giulio3 nasconde, in cui sepolto
     260Giace il sostegno di mia stanca vita,
     Della dolce ombra tua copri cortese.
     E tu, strazio d’amore e di fortuna,
     Tu, derelitta sua misera sposa,
     Che del caldo tuo cor tempio ed avello
     265Festi a tanto marito, e quivi4 il vedi,
     E gli parli, e ti struggi in vòti amplessi
     Da trista e cara illusïon rapita,
     Datti pace, o meschina5; e ti conforti
     Che non sei sola al danno. Odi il compianto
     270D’Italia tutta; i monumenti mira6,


    era troppo vicino. Cfr. Plinio St. Nat. XV, 18.

  1. 244. Babilonico salcio: Salmi cxxxvi, 1: «Sulle rive de’ fiumi di Babilonia ivi sedemmo, e piangemmo in ricordandoci di te, o Sionne: A’ salci appendemmo in mezzo a lei i nostri strumenti».
  2. 251. Tu non vanti ecc.: Di rami di quercia si facevano dai Romani le corone del merito civile; di rami d’alloro, quelle dei trionfatori.
  3. 259. Del mio Giulio: del conte Giulio Perticari (1779-1822), savignanese, autore del trattato Degli scrittori del trecento, della dissertazione Dell’amor patrio di Dante e di altre opere minori, che aveva sposato fin dal ’12 la bellissima figlia del poeta, ai mali trattamenti e, secondo alcuni, anche al veleno della quale si dovè la morte precoce di lui. Ma della seconda accusa la scolpò del tutto il piú gran medico d’allora, Giacomo Tommasini (Storia della malattia per la quale morí il c. G. P.: Bologna, Nobili, 1823); della prima la scolpano le lettere che ci restano del marito e di lei. Cfr. la nota d’introd. a p. 198.
  4. 265. quivi: nel tuo cuore.
  5. 268. Datti pace ecc.: Nel 1833 uscí in Napoli dalla tipografia dei fratelli Rusconi una «Risposta ad un’Apostrofe del poema intit. la Feroniade» fatta da Gordiano Perticari, tutta, s’intende, di vituperi contro Costanza. I versi cominciano: «No! la meschina tua non si conforta L’estinto sposo nell’udir compianto Da Italia tutta; entro il cui duol se mira Col senno, s’ange piú, che al divo ingegno Costei troncò sul fior l’opre piú belle». Poi si volge naturalmente anche contro il Monti. «Non si può non figurarsi Costanza accasciata sotto il peso d’una persecuzione cosí tenace,... e certo le uscivano dal cuore quei versi per l’onomastico dell’Aureggi, che la risposta del padre ha resi famosi [ed. Card., p. 426 e seg.]». Masi, p. 260.
  6. 270. i monumenti mira ecc.: Il monumento al Perticari non fu fatto che nel ’54, in cui recitò