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102 LA MUSOGONIA

     E appiè d’un’elce le depon sul piano,
     Che tócco fuma1, e l’elce suda e geme.
     Ne pute l’aria intorno e da lontano
     Invita i nembi; e roco il vento freme,
     Dir sembrando: Mortal, vattene altrove,
     144Ché il fulmine tremendo è qui di Giove.
Fatto inerme cosí l’egíoco nume2
     Tutta deposta la sembianza altera,
     Di pastorel beòto il volto assume,
     E questa di sue frodi è la primiera.
     S’avvía lunghesso3 il solitario fiume:
     La selva si rallegra4 e la riviera,
     E del dio che s’appressa accorta l’onda
     152Piú loquace a baciar corre la sponda.
Guida al fervido amante è quell’alato
     Garzon che l’alme a suo piacer corregge,
     Contro cui poco s’assecura il fato5,
     Il fato a cui talor rompe la legge.
     Egli alla diva l’appresenta, e aurato
     Dardo allor tolto dalla cote6 elegge;
     E al vergin fianco di tal forza tira,
     160Ch’ella tutta ne trema e ne sospira.
Loda il volto gentil, le rubiconde
     Floride guance e il bel tornito collo;
     Loda le braccia vigorose e tonde,
     E l’omero che degno era d’Apollo;
     Bel sorriso, bel guardo, e vereconde
     Care parole, e tutto alfin lodollo.
     Amor sí dolce le ragiona al core,
     168Che in lui questo pur loda, esser pastore.

147. Di biondo pastorello il volto (C. ’21).

    d’introd. della canz. Pel giorno onom. ecc.

  1. Che tócco fuma ecc.: «Ho avuta qui di mira una bella immagine del non sempre stravagante Nonno nelle Dionisiache lib. I, V. 150, ove parla dei fulmini che Giove nasconde in una spelonca per giacersi liberamente con Plotide, che fu poi madre di Tantalo. Ne tradurrò, come meglio saprò, i versi che mi paiono del carattere omerico più sublime: «Eruttavano al ciel globi di fumo Le folgori nascose, onde dintorno Di bianca divenia negra la rupe. Degli strali, che punta hanno di foco, Facea l’occulta ed immortai scintilla Bollir l’urne de’ fonti, e la commossa Del Migdonio torrente alta vorago Mettea vapori, gorgogliando, e spuma». Mt.
  2. Egioco: «Cognome derivato a Giove dalla capra che lo allattò, non dell’egida, come altri pretendono. Che anzi l’egida non desunse altronde il suo nome che dalla pelle di quella capra perché di essa ricoperse Giove il suo scudo quando andò a combattere coi Giganti. Divenne poi sinonimo dello scudo ancora di Pallade; lo che sia detto per togliere l’errore di alcuni che confondono l’egida di Giove coll’egida di Minerva». Mt. Cfr. Omero Iliad. V, 738.
  3. lunghesso: Cfr. la nota al v. 127, p. 88.
  4. La selva si rallegra: Tasso XVIII, 29: «Questa selva.... Vedi che tutta al tuo venir s’allegra».
  5. Contro cui ecc.: Petrarca P. I, son. 183: «L’alto Signor dinanzi a cui non vale Nasconder né fuggir né far difesa».
  6. cote: fa-