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levia gravia 317

Ne le dolci castella una m’aspetta;
E di memorie io vivo e di speranza.
200Liete rime troviam. Reca, o fanciullo,
Qua la mandòla; se di Cino usata
E di Dante a gli accordi, essa e la bella
Marchesa Malaspina il canto accolga. ―
Cosí disse Gualfredo. A lui l’ azzurro
205Occhio splendea come l’acciar de l’else;
E su’l verde mantel di sotto al tòcco
Bianco e vermiglio gli piovea la bionda
Giovenil capelliera a mo’ di nube
Aurea che attinge da l’occiduo sole
210Le tue valli non tócche, ermo Apennino.

D’un molle riso gli assentí la dama
Donnescamente; e recò destro il paggio
La dipinta mandòla. In su le quattro
Fila correan del cavalier le dita,
215Piane, lente, soavi; e poi di tratto
Rapide flagellando risonaro.
Come pioggia d’aprile a la campagna,
Che bacia i fiori e su le larghe fronde
Crepita: ride tra le nubi il sole
220E ne le gocce pendole si frange;
Getta odore la terra; l’ali bagna
La passeretta, al ciel levasi e trilla:
Tal di Gualfredo il suono era ed il canto.