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258 juvenilia

     La tua forte e sdegnosa anima altera
Sprezza di schiavi e di liberti onore;
E d’acheo piena e di latin valore
Cerca nel ciel di Dante la sua sfera.
     Che se ’l tuo canto a l’età non s’accorda,
Pensa che il fiacco solo in lei s’ispira
Da che al verbo de’ forti è fatta sorda.
     Di miglior tempo degno, a la tua lira
Non tôr, Carducci, non aggiunger corda,
Ma sii qual fosti; e rendi carmi ed ira.



Corde, d’allora in poi, alla mia lira io non ne ho tolte; e, se alcuna ne ho aggiunta, è di quelle che Sparta non avrebbe comandato di togliere.


LIBRO IV.


LVII) Questi versi e gli altri intitolati Omero sono frammenti di un carme che ne’ primi anni meditavo su la poesia greca. E li ristampo, sebbene frammenti, perché sovra essi si fermò più benigno lo sguardo di F. D. Guerrazzi: i linguaioli mi motteggiavano, ed ei giudicò che in questi versi specialmente io mi mostrava sì alunno del Foscolo, ma come Achille che imparava a tender l’arco da Chirone (Rivista contemporanea del 1858). So bene d’esser rimasto inferiore al paragone e al vóto:

Quamquam o! — sed superent quibus hoc, Neptune, dedisti.

LIX) pag. 113, v. 15 e segg. La venuta di Omero al tumulo di Achille e l’apparizione dell’eroe e l’acciecamento del poeta furono prima immaginati da A. Poliziano nell’Ambra, V. 260 e segg.; ma d’altra guisa.

LX) pag. 122, vv. 4-6. Questo stava bene dirlo nel 1854; ma che Dante pensasse all’unità d’Italia, oggi, studiati un