Pagina:Poemi (Esiodo).djvu/168

54 ESIODO 186-212

lucidi in armi, strette nel pugno le lunghe zagaglie,
e quelle Ninfe che Mèlie son dette sovressa la terra.

afrodite



E le vergogne, cosí come pria le recise col ferro,
dal continente via le scagliò nell’ondísono mare.
190Cosí per lungo tempo nel pelago errarono; e intorno
all’immortale carne sorgea bianca schiuma; e nutrita
una fanciulla ne fu, che prima ai santissimi giunse
uomini di Citèra. Di Cipro indi all’isola giunse.
E qui dal mare uscí la Dea veneranda, la bella;
195ed erba sotto i piedi suoi morbidi crebbe; e Afrodite
la chiamano gli Dei, la chiamano gli uomini: ch’ella
fu dalla spuma nutrita: Ciprigna anche è detta, da Cipro
ov’ella anche approdò: Citerèa perché giacque a Citera;
e genïale perché dalle membra balzò genitali.
200Compagno Amor le fu, la seguí Desiderio leggiadro,
quando ella prima nacque, dei Numi avanzò fra l’accolta.
Tal da principio onore possiede, tal sorte prescelta
a lei fu tra le genti mortali e fra i Numi immortali:
i virginali colloquî d’amore, ed il riso e gl’inganni,
205ed il soave sollazzo, coi baci piú dolci del miele.

E il padre, Urano grande, chiamava Titani i suoi figli
ch’ei generò: distinti li volle d’un nome d’oltraggio8,
perché, ligi ad empiezza, compiuto un immane misfatto
avevano essi; e il fio dovrebbero un giorno pagarne.

i figli della notte



210La Notte a luce die’ l’odïoso Destino, la Parca
negra, la Morte, il Sonno, fu madre alla stirpe dei Sogni