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il fiore | 253 |
XLIV
Ragione.
«Quel Socrato, dond’i’ ti vo parlando,
sí fu fontana piena di virtute,44-2
della qual derivò ogne salute,
4po’ ched e’ fu del tutto al me’ comando.
Né mai Fortuna nol gí tormentando:
non pregiò sue levate né cadute;
suo’ gioie e noie per lui fur ricevute,
8né ma’ su’ viso non andò cambiando.
E bene e mal mettea in una bilanza,
e tutto lá facea igual pesare
11sanza prenderne gioia né pesanza.
Per Dio, ched e’ ti piaccia riguardare
al tu’ profitto e prendim’ad amanza!
14Piú alto non ti puo’ tu imparentare.»
XLV
Ragione.
«Ancor non vo’ t’incresca d’ascoltarmi:
alquanti motti ch’i’ voglio ancor dire
a ritenere intendi e a udire,
4ché non potresti apprender miglior salmi.
Tu sí ha’ cominciato a biasimarmi
perch’i’ l’Amor ti volea far fuggire,
che fa le genti vivendo morire,
8e tu ’l saprai ancor se no llo spalmi!
Sed i’ difendo a ciaschedun l’ebrezza,
non vo’ che ’l ber per ciò nessun disami,
11se non se quello che la gente blezza.
I’ non difendo a te che tu non ami,
ma non Amor che ti tenga ’n distrezza,
14e, nella fin, dolente te ne chiami.»