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76 | parte prima |
zione comica di chi racconta, ma o per false deduzioni o per immagini improprie e stonate o per incongrue frasi.
Ciaripensa, e te scopre er cannocchiale.
Chi si sognerebbe di dire che il Pascarella voglia metter qui in dileggio Galileo? Ma egli non può, pur serbando affatto oggettiva la rappresentazione di quel racconto d’osteria, non ridere entro di sè e di quel popolano che narra in tal modo la gloria di Colombo e d’altri sommi Italiani e anche della scoperta dell’America in tal modo narrata. E questo suo riso segreto forma quasi un’aria ilare, un’atmosfera di comicità irresistibile attorno a quella rappresentazione oggettiva. L’intenzione comica del poeta, nel riferire oggettivamente le sciocchezze di quel popolano, non si appalesa mai; il poeta non fa mai capolino. Questo, veramente, non si può dire del Pulci. Mentre il Pascarella ritrae semplicemente, il Pulci spesso contraffà per parodia. Ma come e perchè imputare a lui tutte le sciocchezze, le volgarità, le puerilità dei cantastorie o della letteratura epica e romanzesca venuta di Francia o dall’Italia settentrionale, se egli anzi, contraffacendo e parodiando, se ne beffa apertamente? Sarebbe come prendere sul serio una cosa fatta per giuoco; o come incolpare il Pascarella d’aver deriso la gloria di Colombo, ritraendo il racconto che ne faceva quel popolano. Il Pulci non si sogna neppur lui di deridere la cavalleria o la religione; si spassa a contraffare i cantastorie di piazza, a cantar coi loro modi, con la loro lingua, con la loro psicologia infantile, coi loro mezzi inventivi stereotipati, la materia epica e cavalleresca; di tratto in tratto segue ed interpreta il sentimento popolare per qualche scena patetica, per qualche azione che suscita l’ira o il compianto o lo sdegno, ecc. Naturalmente, tutto questo, se rappresenta per lui uno