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Sul Catria 189

due. Il Pasini era di pessimo umore e, nei pochi momenti che gli ero da presso, mi spiegava, con intenzione di rimprovero, che le ascensioni non si improvvisano e che ci vuole quel che ci vuole.

Sopra la nostra testa, livido, verde, si disegnava il Catria: gli altri monti minori, già sorpassati, parevano come schiacciarsi e sprofondarsi. È il Catria in forma di un vero gibbo, come dice Dante, cioè di gobba: l'una è grandissima e l'altra molto minore, e fra le due si avvalla un'insenatura a forma di sella verso la quale tendeva quella specie di sentiero per cui noi salivamo. Pel gibbo verde vedevansi passare ondate biancastre a fremiti: era il vento che si insinuava tra le alte erbe. La nuvolaglia correva e spesso inghiottiva la cima del Catria; emergente a tratti fra lividori di sole nascente.

Ma quando passammo il ciglio di quella sella e ci si scoperse l'opposto versante, mancando l'appoggio del monte, il vento ci scompigliò: un mulo andò a gambe in aria: il Pasini rotolò miseramente, la qual cosa non era proprio nel suo programma: il giovane mulattiere perdette il cappello, e tenendo l'altra bestia restìa per la cavezza, s'era accoccolato e mi parea che invocasse qualche santo.