Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
70 | pensieri e discorsi |
e senza bisogno di grandi capitali scientifici, eccitano alcun principio di emulazione, accendono qualche desiderio di gloria, impongono l’amore per lo studio o per lo meno la necessità di simularlo...„
A quelle accademie erano poi succeduti i saggi quasi pubblici dei figliuoli con presso a poco il medesimo intendimento. E Monaldo mostrava certo il suo compiacimento per la splendida riuscita del suo primogenito più che non lasciasse vedere la sua pena nell’accorgersi come, per usare le parole della contessa Teia-Leopardi, “il gracile corpo del figlio si sconciasse e alterasse pel faticoso e continuo maneggio di enormi in-foglio e dei pesanti volumi della Poliglotta e dei SS. Padri„. La medesima afferma che il conte Monaldo accarezzò grandemente questa tendenza del figlio. È vero che in altro luogo ricorda che il conte Monaldo stesso animava i figli a quegli esercizi che giudicava molto atti a svilupparne le membra. Nel che peraltro è da osservare che si tratta dei giuochi romani, e che con essi, sempre secondo la contessa Teia, il conte Monaldo voleva fomentare il gusto delle cose elevate, delle gesta e delle rappresentazioni eroiche. Io non intendo biasimare questo padre; ma certo egli stesso sarebbe stato più felice dell’amore dei figli, se ne avesse coltivato più le tendenze umane che quelle eroiche, e li avesse voluti più affettuosi che gloriosi. È vero che non avremmo avuto forse un Giacomo Leopardi, ma egli non sarebbe stato così infelice. Ma è vero ancora che Giacomo comprendeva di poter scegliere tra la infelicità e la mediocrità, e che scelse la prima.
Forse non avremmo avuto... E se avessimo un Leopardi più legato di quello che pur è, alle me-