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24 pensieri e discorsi

vino e vestimenta, da fornirsi alla familia. Parlando di olive, è certo che egli penserà al pulmentarium familiae. Catone, gran maestro, dice pure 1: “Indolcisci quanto più puoi, di olive caschereccie. Quindi le olive anche buone, da cui non possa uscire che poco olio, indolciscile: e fanne grande risparmio, perchè durino il più possibile. Quando le olive saranno mangiate, dà allec e aceto„. Tornava bene, mi pare, discorrere di codeste olive da riporre per gli schiavi, e così anche dei vestimenti; chè poteva cadere in taglio, a proposito della lana, fare per esempio un’osservazione di tal genere: “quando a uno schiavo dài una tunica o un pastrano nuovo, prima ritira il vecchio, per farne casacche a toppe (centones)„. Insomma queste e simili provvidenze erano buone a mettersi in bei versi con quel tanto garbo del poeta che sa parlare con solennità e gravità di umili cose.

Oh! sì! Non ci sono schiavi per Virgilio. Nei suoi poemi non c’è mai nemmeno la parola servus; c’è serva due volte, e a proposito di altri tempi e di altri costumi 2: tempi e costumi in cui il poeta vede bensì i re serviti da molti schiavi; eppur chiama questi famuli e ministri non servi 3. Ma i suoi campi, quelli che esso insegnava a coltivare, quelli che arava

  1. Cat. a. c. 58, e leggi 56 e 57 e 59.
  2. Aen. 5, 284; è data, come premio a Sergesto, Foloe, una cretese, esperta nel tessere, con due gemellini alla poppa. Ed è imitazione di Omero: Il. 23, 263, Anche è serva, in 9, 546, Licinnia che diede al re dei Lidi un figliò, Elenore. E anche questo è Omerico. Inoltre Andromaca partorisce servitio: Aen. 3, 327. E c’è l’idea e la parola di servitium a proposito di giovenchi in Georg. 3, 168, e di sè stesso, cioè di Titiro, in ecl. 1, 41.
  3. Aen. 1, 701 sqq. 705; 5, 391; 8, 411, 584.