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320 | pensieri e discorsi |
la diplomazia e la storia, che non è nostro, se nemmeno vogliamo o dobbiamo dire che era, però, nostro, e che sarà, a ogni modo, nostro: questione di tempi, anzi di tempo: ma ripetiamo e proclamiamo con Dante che là è l’Italia.
Il sorriso del garibaldino morente sparì. — Andava, è vero? a godersi il solicello di primavera per la strada di Castelvecchio, che io aveva udito chiamare, con ardita iperbole, la Nizza del Barghigiano? — Il sorriso riapparì. — Sì; ma voleva anche vedere il lavoro del suo fattore, di quel bravo Menichino. — Ah! bene; avevo veduto. Un bel lavoro! Quel Covo, quel Ciavatta, quel Quarra, lo sanno maneggiare proprio da maestri lo zappone! Li conosco, gli ulivetti di Aquilea! Sarà un bel vedere, proprio sul cominciare di Castelvecchio, quella costa tutta coperta del pallor glauco degli ulivi! E ne verrà un bel fruttato, col tempo! — Col tempo, con molto tempo: ulivo di mi’ nonno, castagno di mi’ padre e vite mia: nemmeno, dunque, per il nostro Peppino, o per Sandrino che in quel giorno sedeva al fianco del padre: non per i figli, ma per i figli dei figli. Eppure Salvo, Salvo che doveva morire di lì a pochi giorni, e lo sapeva, Salvo andava a vedere gli ulivetti appena allora piantati!
Così va fatto! Le nostre opere non devono mirare solo al presente, ma all’avvenire, non a noi soli, ma ai discendenti nostri. E allora i discendenti, anche lontani, prenderanno un poco d’olio degli ulivi che noi abbiamo piantato per loro, e ne governeranno la lampada, che arda sul nostro sepolcro. E anche se non lo prenderanno, che importa? Si muore dolcemente quando si è pensato a tutti, anche a quelli