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la mia scuola di grammatica | 277 |
tale l’idea d’un Messia aspettato, fu egli, che non voleva la schiavitù e voleva l’uguaglianza con la libertà, che sparse le foglie di edera e di nardo, di colocasia e di acanto per la strada per cui doveva venire sull’asinello della povertà l’uomo Dio.
E così a me pare intuizione portentosa quella di Dante, nel fare del paganesimo buono, in persona del buon Virgilio, colui che va innanzi, nella notte, rischiarando il cammino dietro sè. Seguiamolo anche noi. Facciamo risplendere, nella nostra umbratile scuola di grammatica, il lume di questa bontà. Adoriamo le traccie le quali chi segue, diventa poeta e sapiente. Chè, per concludere, e perchè io non vi paia più modesto di quel che la vera modestia comporti, voglio ricordarvi qualche cosa di cui in me stesso m’esalto. Voglio ricordarvi che io ho scoperto il nome che in mistero ha il Virgilio dantesco; e che è altissima gloria di Dante aver dato al poeta pagano, e altissimo onore di Virgilio aver ricevuto dal poeta cristiano. Questo nome è quello del peregrino malvestito e del giovine ben convertito della Vita Nova, è quello di colui che ragionava della sua donna nella mente dell’autor del Convito; è quello che è sì dell’arte e sì della sapienza: è Amore, che conduce sì a Matelda e sì a Beatrice.
È bensì vero che quest’amore è, per rispetto all’arte, sinonimo di studio: studio, anzi, specialmente di grammatica, la nostra grammatica, o giovani, ossia l’arte d’intendere gli antichi scrittori; ma, per rispetto alla sapienza, Virgilio è più propriamente l’amore: l’amore che è appunto l’essenza del cristianesimo, e che Dante, così, ravvisava anche nel paganesimo. E lo studio e l’amore insieme irraggino