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ECO D’UNA NOTTE MITICA




Oh! io torno al Manzoni e ai Promessi Sposi! Che libro vivo, fresco, nuovo! Sì, nuovo, non ostante che d’allora in poi ci siamo provati, dietro le orme di stranieri, in tante novità! Ma erano, dunque, novità vecchie, nate con le grinze. Ma erano piante esotiche che, nel terreno non loro, o non attecchivano o subito tralignavano. Eppure dai Promessi Sposi avremmo potuto imparare a fare analisi psicologiche, pitture d’ambiente, descrizioni naturali (la vigna di Renzo, ricordate? e ripensate il Paradou dove tutto fiorisce a un tempo, e le piante inselvatichite fanno doppi i fiori), da non invidiare Flaubert, i Goncourt, Zola; e nei Promessi Sposi avremmo trovato in formazione tanti generi di romanzo che poi tennero e tengono il campo, cadendo e sparendo via via, perchè in essi è fatto elemento principale di vita quello ch’è il più piacevole ma il più fuggevole dei pregi: la novità. Ma i nostri vecchi dal grande capolavoro manzoniano imitarono, non impararono; e si sa che l’imitazione in arte è ciò che è la putrefazione in natura: dissolve un genere per dar luogo a un altro; e imitarono poi ciò appunto che persino all’autore pareva