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il 12 gennaio scoppiava la preannunziata, a data fissa, rivoluzione a Palermo, ove il popolo, eroicamente combattendo per quindici giornate, abbatteva l’esecrato potere borbonico, e il 29 dello stesso mese, Ferdinando II, adattatasi al volto una maschera da liberale, largiva al popolo napoletano la costituzione; fatti che producevano la più profonda commozione in tutta la penisola e che eccitavano un indicibile entusiasmo a Roma, dove i Circoli indirizzavano petizioni alla Consulta di stato, chiedendo il riordinamento dell’esercito e gli armamenti.

In conseguenza di quei fatti straordinari, che esaudivano hi speranze, alimentavano i desiderii, che esaltavano gli animi, l’agitazione era salita allo stato di convulsione. E, poiché le manifestazioni popolari continuavano, e il Papa nicchiava a concedere un ministero di laici, così Pio IX mandò fuori il famoso motu proprio che finiva con la famosa frase: Benedite, gran Dio, l’Italia, onde nuovi entusiasmi e nuove illusioni. Poscia, il 12 febbraio, erano nominati ministri quattro laici, il Conte Pasolini, il Principe di Teano, l’avvocato Sturbinetti e il Principe Gabrielli. Ma liete e commoventi novelle venivano di Piemonte e di Toscana dove i due principi avevano, il primo l’8 febbraio e il secondo l’11 dello stesso mese, annunciato ai loro popoli la imminente promulgazione della costituzione. Grandi feste in Roma la sera del 14 presso l’ambasciatore sardo, grandi acclamazioni il 19 presso quello toscano. Ma non era ancora posata alquanto l’emozione di quei lieti avvenimenti, quando il 4 marzo giunsero a Roma le prime confuse notizie della rivoluzione parigina e il 5 successivo la conferma della caduta della dinastia orleanese e la proclamazione della repubblica.

Mentre il popolo romano festeggiava, con entusiastiche manifestazioni, quel fatto tanto grave quanto inatteso. Pellegrino Rossi ne restava afflitto e stupito, «non potendo persuadersi che un ordinamento politico che egli ammirava tanto, fosse scomparso avanti al più leggiero sforzo, in mezzo all’indifferenza universale: resultato inevitabile, pur tuttavia, dell’isola-

    fatali di un ragionamento». Francesco De Sanctis, Nuovi saggi critici, 7° edizione, Napoli, Cav. Antonio Morano, 1896, nello scritto intitolato: Massimo D’Azeglio, pag. 287.