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acquista anche l’inconsapevole valore di una rivendicazione d’indipendenza dagli adulti.

Siccome fare-le-cose-anche-noi-piccini-come-i-grandi è difficile, per la difficoltà in sé e per i sospetti dei grandi, il bambino tende a crearsi regole nelle cose sue, a ricadere nella stessa rotaia, a incoraggiarsi col già fatto. Ricorda la tua cinquenne abitudine di piangere appena a tavola, cosí senza motivo. Era un contegno comodo perché già sperimentato ed era un tuo contegno.

4 dicembre.

Scritto a Pinelli: «...riprendendo certe mie idee, l’opera è un simbolo dove tanto i personaggi che l’ambiente sono mezzo alla narrazione di una paraboletta, che è la radice ultima dell’ispirazione e dell’interesse: il “cammino dell’anima” della mia Divina Commedia».

«La lingua... è tutt’altra cosa da un impressionismo naturalistico. Non ho scritto rifacendo il verso a Berto — l’unico che parli — ma traducendo i suoi ruminamenti, i suoi stupori, i suoi scherni ecc., come li direbbe lui se parlasse italiano. Ho solo sgrammaticato quando sgrammaticare indicava una sprezzatura, un’involuzione, una monotonia nell’animo suo. Non ho voluto far vedere come parla Berto sforzandosi di parlare italiano (che sarebbe impressionismo dialettale) ma come parlerebbe se le sue parole gli diventassero — per Pentecoste — italiane. Come pensa, insomma».

10 dicembre.

Il simbolo di cui si parla il 6 novembre ’38 (II) e il 4 dicembre ’38 (i Fioretti), è un legame fantastico che tende una trama sotto al discorso. Si tratta di caposaldi ricorrenti («epiteti» come nell’esempio classico del 6 novembre) che additano in uno degli elementi materiali del racconto un persistente significato immaginoso (un racconto dentro il racconto) — una realtà segreta, che affiora. Esempio, la «mammella» dei Paesi tuoi — vero epiteto, che esprime la realtà sessuale di quella campagna.

Non piú simbolo allegorico, ma simbolo immaginoso — un