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catullo - orazio - virgilio 127


lucilio

Già che l’ho detto: i versi di Lucilio
vanno a vanvera. Quale è sì arrabbiato
luciliano che anche lui nol dica?
E sì che lodo in quell’istessa carta
5ch’abbia di molto su Roma frizzato;
ma con ciò non io lodo anche il restante;
chè allor de’ mimi di Laberio, come
fior di poemi, strabiliar dovrei.
Però non basta fare ismascellare
10gli spettatori (e pur c’entra un che d’arte):
brevità vuolsi, se il pensier dee correre
e non incespicar nelle parole
pesanti che affaticano l’orecchio:
ci vuole un far più spesso da burletta;
15anche serio, ogni tanto; che ci paia
l’oratore a sua volta ed il poeta,
e il cittadin di spirito a sua volta,
ma che poi non lo sprechi, anzi lo smorzi
a bella posta. Grandi questïoni
20più netto e bene te le taglia un motto
festevole, che tante sfurïate.
Con questi avvisi si teneano in gamba
nella vecchia comedia gli scrittori;
quelli sì ch’eran uomini; ed in questo
25son da imitare; e non li ha letti mica
quel bel tipo d’Ermogene e codesto
scimiotto che non sa cantilenare
se non le baie di Catullo e Calvo. —
Ma gran cosa egli fece a mescolare
30quelle greche parole alle latine. —