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XLIV.
ALLA STESSA
a Firenze
23 giugno (1833)
Nina mia,
Ricevo la cara tua da Arezzo e ti ringrazio con tutta la vivacità del mio cuore delle notizie che ni dai di Giacomo, ma io spero che a quest’ora lo avrai veduto; e bene! dimmi che te ne pare, dimmi come lo hai trovato, se più emaciato del solito, se più malinconico, se soffre molto, se ci vuol più bene, se pensa mai a noi. Dimmi tutto, Nina mia, e dimmi la verità, qualunque ella sia, altrimenti è inutile. Digli che siamo inquieti con lui, ch’è tanto tempo che non ci ha più scritto, e che papà non ha avuto mai risposta alla sua: digli che ogni ordinario si riaprono le nostre piaghe, che non possiamo pensare più a lui senza gemere. Perdonami, Nina mia, ma io confido in te come in una mia sorella; il tuo cuore è tanto buono, che senza rincrescimento e senza riserbo io mi affido al tuo, e spero che tu non mi farai sospirare lungamente dettagli tanto cari e bramati. Sebbene non sieno più nuovi per me i trionfi della mia amica, pure il loro racconto mi desta sempre costantemente una emozione dolcissima, una vivissima gioia. Oh quanto strettamente abbraccio