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l’amore, e le parole del poeta gli parvero grandi come la scienza. E le parole della scienza gli parvero grandi come la voce del poeta.
Ma lì quei due esseri! Oh, lo squallido nascimento!
Il pensiero netto di Beatus fu questo: «Se vi buttaste a fiume tutti e due, anzi tutti e tre, fareste cosa ottima».
Beatus guardava quei due esseri inerti davanti a sè e gli parve che l’uomo si potesse definire anche così: homo iners, l’uomo inerte! Che bella definizione!
Anzi gli parve una scoperta! Sì, gli industri uomini, come furono detti da Esiodo, l’audace stirpe di Giapeto, come li chiamò Orazio, l’homo sapiens di Linneo, l’uomo sociale di Dante, l’uomo economico; sì tutti begli uomini. Ma l’uomo inerte è più bello! L’uomo è inerte come il bue nella stalla, come il cane nell’aia, come la serpe al sole.
Quando ha fame, quando ha sete, quando l’ardore del senso si desta; quando un urto, un colore, il rosso, l’oro, lo percuote, allora si desta, diventa furibondo, si avventa e morde anche. Poi si assopisce ancora, e torna