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gliere, nè torre d’avorio, ma donna viva e robusta che maternamente accoglie le nuove formazioni che a lei si volgono.

Ella, che ha un cuore di purista classico, amante della bellezza antica, e un cervello di uomo moderno, adatto a comprendere il mondo nuovo che ci fiorisce d’intorno, ella a ragione di questo dualismo della sua coscienza, — ha scelto la via di mezzo — e la giusta via di mezzo — tra gli uni e gli altri. Non le dico: ha fatto bene. La mia approvazione non avrebbe nessun valore. Soltanto le dico che la concezione vivente di un linguaggio in continua via di formazione, e per ciò accogliente quei barbarismi che più rispondono alla necessità della nuova vita è, secondo me, la concessione giusta e veramente scientifica. La parola segue la vita — Ella ha scritto — ebbene, lasciate passare la vita!

ALFREDO NICEFORO.


Tornato appena da Roma, trovo qui il saggio che Ella si compiacque mandarmi chiedendomi il mio parere. M’affretto a rispondere per dirle che la sua fatica mi sembra non solo bella, ma eccellente, sopratutto pratica. Trovare in un dizionario la spiegazione di voci e modi di dire in uso e in abuso del linguaggio corrente, è certo una grande facilitazione a chi intenda, senza fraintendere, muoversi fra gl’impacci delle parole del nuovo stile. E servirà sopratutto a chi voglia con sicurezza tenersi lontano da ogni abuso.

Plaudo toto corde a quanto Ella scrive a pag. XXI della sua prefazione. Anch’io vo picchiando da un pezzo sullo stesso chiodo, e chissà se altri ci aiuta, non si riesca a mettere in fuga questa letteratura ch’Ella chiama floreale perchè fatta sopratutto di spine.


Un sincero plauso anzitutto per l’opera bella ed utile, ch’Ella ha coraggiosamente intrapreso. Un lavoro di tanta mole, che, per natura sua, non si può dir mai compiuto, (una vera fabbrica del Duomo, come diciamo noi milanesi) basta a riempire la vita di un uomo, anche il più erudito e laborioso ed a farne il nome lungamente chiaro ed onorato.

Quanto all’importante questione della lingua, ch’Ella sottopone alle persone autorevoli, se io credessi di poter contarmi tra queste, direi che due sono i punti di vista dai quali può esser trattata: quello degli uomini di lettere e quello dei profani, degli orecchianti.

I primi non la risolveranno mai. Per essi vi sono troppi argomenti pro e contro, troppe care tradizioni e convincimenti troppo radicali in dotti studii da conservare e da difendere; ed Ella per il primo ne dà un eloquente esempio con la sua larga, bellissima e profondissima dissertazione.

I secondi, ed io son tra questi, la risolvono forse troppo in fretta. Considerato il fenomeno linguistico alla stregua degli altri fenomeni naturali, pare ovvio ch’esso passi per quelle fasi di evoluzione e di dissoluzione, per cui passano tutti gli altri e che formano il ritmo della vita. Ed allora che vale preoccuparcene?

Può darsi che la lingua italiana, come organismo, sia entrata nel periodo di senescenza (ha avuto uno stupenda giovinezza ed una non meno ammirabile virilità!). Ora si trasforma e diventerà qualche altra cosa, non meno bella e non meno grande. Se Cicerone avesse preveduto il corrompersi della sua aurea lingua, chissà in quale disperazione sarebbe entrato. Avrebbe avuto torto. Questa corruzione ci ha dato la prosa e la poesia del trecento e della rinascenza.

Lodevolissimo dunque mi pare il tentativo, che Ella fa, di dare libero corso ai nuovi elementi linguistici, e non meno lodevole trovo la sua fedo nel gonio della nostra razza, in quella energia nascosta ed inesauribile, che, come ha già fatto tanti miracoli, altrettanti o maggiori ne potrà compiere in avvenire.

Fede e serenità: ecco il segreto di ogni savio convincimento filosofico. Intanto lavoriamo con buona volontà, seguendo quei nostri segreti istinti, che ne sanno più della nostra ragione.