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540 — tica ; dall’altra l’avventata prontezza di innumerevoli italiani nelF accogliere le espressioni di modo nuova, per quanto irragionevole e spuria, e il loro quasi compiacimento nell’usare la frase forestiera in luogo della nostrana. Son l’uno e l’altro costumi servili, da cui non può guarirci se non la sana consapevole libertá dei tempi nuovi. Ma quali sono i limiti di questa libertá? Nessuno può determinarli, dice il Fanzini, e ha ragione. Nessun areopago di grammatici può legiferare in questa materia senz’essere disobbedito o deriso. «La discrezione e il limite potrebbero essere dati dalla necessitá, ma piú da un nobile senso individuale di italianitá, per cui l’uso, quando è inutile, di parole straniere dovrebbe ripugnare come ad una persona pulita ripugna il compiere un atto sudicio, anche se è sola e non vista.... Se uno scrupolo continuo ci deve perseguitare nello scrivere e nel parlare, l’italiano l’impareremo a cinquant’anni. Poche e sicure norme grammaticali, fede nella parlata natia, un po’ di amore e di conoscenza della tradizione letteraria, e il resto affidatolo alla divina natura».

Non altrimenti, in fondo, sentiva il Leopardi, il quale, vide e previde questi dubbi nostri, e li risolse, almeno in teoria, con moderna indipendenza di pensiero. «Conviene — si legge in un suo frammento opportunamente ricordato come decisivo, a questo proposito, da Eomualdo Giani — conviene proclamar lo studio profondo e vasto della lingua, e nel tempo stesso la libertá che ciascuno scrittore, impadronitosi bene di essa e conosciutane a fondo l’indole, usi il suo giudizio nell’introdurre e impiegare e spendere la novitá necessaria, anche straniera» .

Appunto cosí. La lingua buona non è, non può essere oggi quella de’ grammatici, ma quella degli uomini di buon senso e di gusto sinceramente, educatamente italiano, i quali sappiano secondo il bisogno sciogliere l’espressione opportuna, conciliando con avveduta temperanza il vocabolario della Crusca e.... il Dizionario moderno di Alfredo Fanzini. DINO MANTOVANL

A dare (com’Ella mi chiede) un giudizio serio e pensato «intorno allo stato presente della lingua italiana», mi abbisognerebbero qualitá competenza meriti e tempo che non ho. A ciò avrebbe potuto giovarmi l’esame di tutto il Dizionario che con tanta geniale fatica ha compilato ; ma sfortunatamente non ne ho qui dinanzi che poche pagine. Le scrivo perciò senza l’ombra di pretensione.

Non v’ha dubbio che la nostra lingua viva che generalmente parliamo e scriviamo, è piú ricca (o, forse meglio, diversa) di quella che è raccolta nei comuni dizionari, e che il popolo italiano, colto ed incolto, non ha scrupoli ad accettare ed usare le piú svariate forme linguistiche di espressione, senza chiedere loro la nazionalitá e la origine ; il suo dizionario sará ed è un curiosissimo ed utilissimo libro di storia. Tra cento, tra mill’anni, i nostri posteri, se vorranno sapere come si parlava, nell’anno di grazia 1904 (chi sa se allora qualcuno troverá tempo ancora di fare il filologo!?), dovranno di necessitá prendere in esame, oltre agli altri comuni dizionari nostri, anche il suo «Stippleniento» . Quanto poi a determinare se le espressioni da Lei raccolte siano utili o necessarie, possano essere oggi usate, o siano per essere un giorno accolte nei dizionari della nostra lingua pura, questa è un’altra questione ch’io non saprei definire. Solo il nostro futuro lontano filologo potrá saperne la soluzione. A noi, per ora, non resta altro, mi pare, che star a sentire quel che il popolo dice, il popolo che, a dispetto di tutti noi, (ci chiamassimo anche Manzoni Tommaseo) fa, rispetto alla lingua (e il resto) tutto quello che gli pare e piace. Noi staremo da principio, un po’ dispettosi, arcigni, riservati, prima di deciderci a introdurre nella nostra purgata prosa questa o quella paroletta nuova od impura, ma se il popolo ci si intesterá, dopo dieci o vent’anni, per forza, se vorremo farci intendere, useremo anche noi la paroletta, anche se sará di origine giapponese, e goffa ed aspra e non necessaria.

Credo per altro che non bisogna scendere ad esagerazioni, riguardo a codesta invasione di parole nuove o barbare: e non è giusto che noi ci calunniamo. Non è vero che oggi gl’Italiani scrivano molto male; certo è che, cinquant’anni fa, in generale, scrivevano peggio. E poi bisogna distinguere neologismi da neologismi. Alcuni di essi resteranno, perchè saranno riconosciuti necessari ed efficaci, ma altri molti