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fulmini d. V. soggiunge: «Cui il pensiero moderno ha fatto da parafulmine». Era proprio necessaria quest’arguzia, trattandosi anche di res judicata e dimenticata? Pontificante il veramente Pio X, chi può sognarsi di farne un pontefice fulminatore?

Delle spiegazioni e osservazioni comprese nel Saggio avrei ben poco a dire. P. es., sotto Vasello si cita il dantesco Vasel d’ogni froda e si avverte «non si intende piccolo vaso». L’avvertenza mi pare per lo meno arrischiata. Che vasello sia forma di diminutivo, non è dubbio, e che Dante l’usi in significato diminutivo è provato dal noto esempio del Purgatorio, II, 41, dove egli parla del «vasello snelletto e leggero» (noti l’insistere sull’accezione diminutiva col secondo aggettivo snelletto), cioè della barchetta dell’angelo nocchiere. Che poi la «fortuna» di questa parola abbia trasformata e ingrandita la barchetta sino a farne un grande legno, anche da guerra, un vascello, è un altro conto. La trasformazione è posteriore a Dante. Non mi pare poi difficile conciliare questo significato diminutivo col concetto voluto esprimere dall’Alighieri nell’inf., XXII, 82, dove dice di frate Gomita «vasel d’ogni froda». Basta intendere che l’anima di quel barattiere era come un vasetto che accoglieva l’essenza d’ogni frode, la quintessenza della frode. In tal caso il diminutivo conferirebbe un singolar valore d’ironia sanguinosa al battesimo d’infanzia che il Poeta gli affibbia. E badi che altrove (Parad., XXI, 127) Dante per designare San Paolo con «gran vasello», sentì il bisogno di temperare quel vasello strappatogli forse dalla rima, premettendogli un grande.

Ma questa ed altre simili sono inezie, che non scemono il pregio del Dizionario, al quale auguro la migliore fortuna. E al benemerito autore stringo cordialmente la mano.

VITTORIO CIAN.




...Per farsi un giusto concetto del suo Dizionario moderno forse non basta il saggio ch’Ella ne invia, ma che, per mio conto, ho letto attentamente. Se però, come mi par di rilevare da esso e dal Discorso preliminare, di tante voci straniere, indispensabili o soverchie, e di molti vocaboli o significati nuovi Ella non intende farsi apologista, ma semplice registratore «come un notaio che fa un inventario», mi pare che il lavoro suo debba sempre riuscir utile, come in molti casi è curioso assai, specie là dove mostra che stendiamo la mano a limosinare ciò che possediamo. Piacemi pertanto che in molti casi Ella alla voce straniera e corrotta contrapponga l’uso paesano e retto.

Ad ogni modo mi sembra che questo specchio del parlare e dello scrivere, non dirò italiano ma d’Italia, nel principio del secolo XX, debba riuscire accetto ed opportuno, anche perchè mette in chiara luce, senza pedanteria arcigna, molte brutture, dalle quali volendo, potremmo liberarci. E se non altro rimarrà il vantaggio di trovar in esso la spiegazione e la derivazione di voci straniere, che si usano e si leggono senza averne una precisa notizia.

Avrei da farle qualche osservazioncella. Che la moda propriamente detta cominciò col secondo impero, avrei qualche dubbio. Poco più oltre Ella ricorda la piavola di Francia, che è del secolo XVIII. Ma io che sono più vecchio di Lei, credo di poter dire che la cosa è più antica, sebbene allora arrivano al massimo di potenza. E già ai suoi tempi il Parini non rimproverava a Silvia di obbedire alla moda d’oltralpe, anche alla meno imitabile?

A tutto l’articolo poi «Vestito» si potrebbe desiderare minor brevità e miglior distribuzione.

Meritava registrarsi il Vient de paraître, quando parve per le sole pubblicazioni francesi? e se è comunissimo, particolarmente per le italiane, il Novità.

A Versante potevasi aggiungere oltre Acquapendente, anche Acquapendere, e di più. Spartiacque.

A Virare potevasi aggiungere il modo comune: Girar di bordo.

Dirimpettaio lo sentivo a Firenze, per scherzo, verso il ’48 o ’50, cioè prima che lo «escogitasse un manzoniano».

Ma basta di queste pedanterie, e mi creda