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lepida, ma di acerba critica, forse la piú acerba !

Sopprimere: dal lat. suh e prèmere, vale conculcare, calcare. Nel senso di togliere^ levar via^ impedire che appaia, annidlare (es. sopprimere una frase) è conforme all’uso francese del verbo supprimer. Eicorre taloi’a questa parola nel senso di ammazzare; e cosí dicasi della voce soppressione.

Sopracciò: praefectus^ sopraintendente: ma oggi non si dice che in senso di sprezzo, e per lo piú al plurale, di chi fa valere con molta arroganza e con poco discernimento e giustizia quella autoritá di cui le gerarchie burocratiche sogliono investire assai spesso i meno degni. Il Petrocchi reca, «spreg. saccente».

Sopraluogo: si dice in linguaggio forense del cosí detto «accesso sul luogo». Quando il magistrato, o per impulso spontaneo per iniziativa di una delle parti, ritiene utile di recarsi sul luogo della contestazione o del commesso reato per attingere direttamente quelle nozioni di fatto e di luogo che gli possono giovare nel giudizio, ordina un sopraluogo^ e si trasferisce, con le parti e col cancelliere, sul luogo. Dicesi familiarmente in senso esteso e faceto.

Sopravento: term. mar.; una terra, un bastimento, un oggetto stará sopravento al proprio bastimento N se rimane dalla parte del vento relativamente alla perpendicolare NE abbassata dal centro di gravitá del bastimento N su la direzione assoluta del vento ; e stará sottovento nel caso opposto. Segue da ciò che un bastimento N’ che cammini nelle acque di un altro A", sta sottovento a questo della quantitá N’ B., e per trovarsi egualmente avventato, bisognerebbe che si trovasse in B. Cfr. la frase prendere il sopravento.

Sopravivere a se stesso: comunemente si dice di persona la cui vita dura ancora mentre la gloria, o la rinomanza, o la fortuna, o le opinioni giá lodate ed accolte — vita dell’anima — sono morte ovvero obliate.

Sorbeltarsl: godersi come un sorbetto, essere costretto a sorbire: si dice in vSenso morale e ironico di condizioni e persone che bisogna sopportare per forza di cose: efficace voce regionale.

Sordino: propr., strumento per ammorzare il suono: in romagnolo vale fischio sordo, e anche peto., fatto con la bocca e per dileggio.

Sorditá verbale: terni, med., ò quella alterazione per la quale, essendo intatto l’udito, le parole altrui sono percepite come suoni, ma non vengono trasformate in idee. (Varietá di afasia).

Sornacchiare: ronfare., russare., verbo d’uso ampiamente dialettale e toscano.

Sorridere: nel senso di piace., alletta., par bello, es. mi sorride l’idea etc. è dai puristi ritenuto conforme all’uso esteso del fr. sourire. Fosse anche gallicismo, non mi pare estensione difforme all’indole dell’italiano.

Sortie de bai: voce francese della moda per indicare quelle pellicce o quei vistosi manti con cui le signore, all’uscire dal teatro o dalle feste, ravvolgono e difendono dal freddo le giá esposte o lievemente coperte nuditá.

Sortire e sortita: della differenza fra sortire ed uscire è inutile parlare. E fra le nozioni grammaticali piú note. Sortire vale eleggere in sorte., avere., cavare a sorte e non andar fuori etc. Nelle stazioni ferroviarie a sortita hanno sostituita uscita e hanno fatto bene e il publico ci si è abituato a forza di sentir gridare, uscita! uscita da questa parte! Quando verrá la volta della parola ritirata? Scadono le convenzioni ferroviarie, e speriamo bene ! Quanto poi al voler ritenere gallicismo questa parola invece di uscire, io non oserei, pur ammettendo che la si usò da taluno per influsso francese. E voce non letteraria, ma popolare. «Sortire per uscire è italiana, ma di bassa lega», cosí il Leopardi, sopra due voci italiane.