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Prefazione | xxi |
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Quali siano le distinzioni, quali gli altri principi che urtano in conflitto con il principio fondamentale e magnifico, è argomento di ciò che segue.
Intanto ecco un ben curioso contrasto: per alcuni la lingua italiana si trova in periodo felice di evoluzione e di rinnovamento, per altri siamo a mal punto, e l’organismo risultante da tante voci e modi strani, arbitrari, barbarici, etc., non è (usiamo un’espressione mite) un prodotto buono di selezione e di evoluzione.
Qui alcuno può dire: «Questa è l’opinione di pochi puristi, gente che non ha più autorità», e qualche malevolo può aggiungere: «Conosciamo il vostro giuoco! vecchio mezzuccio di retorica, concedere per meglio negare, fare il liberale affinchè le catene sappian di odor di rosa».
Anzi tutto io dico di essere in buona fede: sì, è vero: questa è opinione di pochi puristi, ed è pur vero che i puristi non hanno più grande autorità. Però posso assicurare che vi è un certo numero di persone, non grammatici, non puristi, non pedanti, che la pensano in questo modo pessimista. «E voi siete fra costoro!». Io? Io noto il contrasto, tutt’al più come opinione personale credo una cosa, che in Italia si scriva poco bene l’italiano, e forse, male. Qui è lecito supporre questa obbiezione da parte di molti: «Come? Si scrive male? Ma quando mai, ad esempio, ci fu più bella fiorita di voci e di imagini che nella prosa degli esteti?». Non dico di no; è questione di gusti e di tempo. Anche la prosa di Daniello Bartoli apparve ed è magnifica, eppure giustamente si reagì contro quella scuola e quell’arte di scrivere dal Leopardi e dal Manzoni in nome di quella schiettezza e sanità che, se sono un pregio nella vita, non sono meno nelle lettere; in nome di una prosa che non fosse bagno di melassa, ma arma nuda e vibrante nella battaglia delle idee. Molta di questa prosa chiamata estetica, che tanto oggi piace, e specialmente quella a buon mercato, va diventando — come l’arte floreale in architettura — la prediletta dei bottegai arricchiti. È prosa che nasconde sotto il belletto della nuova retorica i gonfiori della scrofola: afferratela e stringerete adipe: nuova retorica, giacchè noi «come quei c’ha mala luce», vediamo i vizi della retorica lontana, cioè del passato, quella che è vicina a noi, non vediamo. «Ma, di grazia, come fate a giudicare se una prosa è bella o brutta? pesate col bilancino le parole e le frasi come fanno i puristi?» mi si può domandare.