Pagina:Ortiz - Per la storia della cultura italiana in Rumania.djvu/345


335

tiche. Uno infatti dei principali difetti della traduzione rumena della Divina Comedia intrapresa dal Gane è appunto quello di aver rinunziato al tentativo (che io ritengo possibilissimo) di riprodurre in rumeno la terzina1; uno dei pregi migliori della buona traduzione che ci ha dato il Chini di Mirejo è d’averle conservato il suo caratteristico metro. Ma non anticipiamo e soprattutto non divaghiamo. Ecco degli altri appunti alla traduzione del Saul che riguardano più da vicino la versificazione e la metrica: ,,La scelta del metro ci pare infelice. Tutti sanno che la versificazione delle lingue derivate dal latino ha per fondamento la rima, e che il verso eroico in rumeno è di 16 sillabe. I versi giambici, trocaici, dattilici, sia del tipo italiano, sia di quello francese, non piacciono al nostro orecchio (di rumeni) e son troppo corti perchè possano esprimere completamente un’idea. Di modo che chiunque si propone (da noi) di servirsi d’una qualsiasi di queste forme metriche straniere, viene a porsi sul collo un giogo troppo grave, che, invece di farlo camminare a passo (ritmicamente), lo costringe a zoppicare, anzi, talvolta, a far dei salti per giungere in tempo alla fine (del verso). Perciò è costretto a far uso troppo frequente di contrazioni e di elisioni che rendono oscure e incolori le idee più belle, mentre l’orecchio, ferito da tante cacofonie, non riconosce più l’armoniosa sorella (della nostra lingua): la lingua italiana”. Qui francamente non si capisce bene che cosa intenda Asaki rimproverare ad Aristia. L’uso di un verso troppo corto? Ma un verso di 14 sillabe, di tipo giambico, non si può dir corto davvero, e non era neppure una novità. Sta bene che il verso eroico rumeno sia alquanto più lungo (16 sillabe); ma, francamente, non so vedere come mai due sole sillabe di meno possano produrre tutti quei guai che Asaki attribuisce all’uso d’un metro troppo corto. Non



  1. In terzine l’ha infatti tradotta — e speriamo voglia presto darla alla luce — il più grande dei poeti rumeni contemporanei, Gheorghe Coșbuc, che all’ardua fatica s’è accinto con quindici anni e forse più di severi studi danteschi soprattutto filosofici e teologici. Il suo sistema ermeneutico cade forse nell’errore di dar soverchia importanza alla parte allegorica del poema; ma è frutto di lunghi e forti studii e di un tale amore per Dante da giunger fino al sacrificio della sua personalità. Da quando infatti il delicato e squisito poeta di La oglinda (Allo specchio), Nunta Zamfirei, (Le Nozze di Zamfira), Moartea lui Fulger (La Morte di Fulger) s’è dato agli studi danteschi, la sua musa si tace.