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dal Tasso! Chi, nel secolo XVIII, non sapeva a memoria, pur non conoscendo l’italiano, qualche strofetta dell’autore del Regolo?

„Il Metastasio” scrive il De Sanctis1 „sopravvisse a sè stesso. Negli ultimi tempi era come uno straniero accampato in mezzo a una società che si rinnovava rapidamente. Assistette vivo alla sua demolizione. Vide Goldoni attaccare tutta quella sua fantasmagoria eroica, e cercare un’altra base, nella natura. Vide Parini dar della scure su quella società ch’egli aveva resa immortale. Vide Alfieri rompergli le sue melodie. E già, morto appena, la società di cui era stato il poeta e l’idolo, crollava da tutte parti con tanta rovina, che la nuova generazione non la comprese più e parve lontana di un secolo”. Sta bene; ma „la collera contro la vecchia società” non sempre si riversò sul poeta, che, se fu accusato „di avere infemminito gli italiani co’ suoi molli versi”, seguitò non pertanto a regnar da padrone nel cantuccio solitario e fiorito, che più d’un rivoluzionario volle serbargli nel cuore, per potervisi rifugiare a suo bell’agio, ogni qualvolta, stanco della lotta e disgustato degli uomini, sentisse il bisogno di affrancarsi un istante dalle catene brutali della realtà, per lasciarsi rapire dal fascino di quell’arte delicata e ingenua come un fiorir di mandorli a primavera2. Inoltre, come



    Ma sia che altri lavori gli avessero preso tutto il tempo che aveva disponibile sia che si tosse imbattuto in troppo gravi difficoltà, il tentativo non ebbe seguito ed il progetto rimase ineseguito”. Cfr. I. C. Negruzzi, Incepurutile literare ale lui Constantin Negruzzi, in Analele Academiei Române, Seria II, (Mem. Secț. lit.) tom. XXXII (1909), p. 6.

  1. Nel Saggio sul Metastasio comparso nella N. Antologia (agosto 1871) e rifuso poi nella Storia della letteratura. Il brano che riportiamo (non compreso nella rifusione) è stato di recente ripubblicato dal Croce nel fascicolo di marzo 1912 (p. 61) della sua Critica con altre Pagine sparse di Francesco De Sanctis.
  2. Una riprova ce l’offrirebbe (e, possiamo dire, ce l’offre, visto che l’autore della traduzione riteneva il dramma del Metastasio) Iordachi Sion (1822-1892) che il 1843, quando già da parecchi anni le tragedie di Vittorio Alfieri strappavano alle platee rumene i più frenetici applausi e i poeti cantavano ben altre cose che la primavera e i pastorelli d’Arcadia, ci dà, quando meno ce l’aspetteremmo, la traduzione d’un Achille, ch’egli dice del Metastasio: [testo cirillico] АХИЛ | драмъ єроикъ ꙟи патрѹ акгє || дє | МЕТАСТАСІО. || традѹсъ | дє | ИОРДАКИ СИОН | Иаѱи | Да Кантора Фоиєн Сътєѱти | 1843, ma che, mentre non ha nulla a che fare con l’Achille in Sciro, nè si legge fra le Opere, nè presenta le caratteristiche di un dramma metastasiano, è invece traduzione, come