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neppur sempre gioì alla corte di Vienna per elogi sovrani e regali di tabacchiere preziose, ma lamentò in parole di rassegnata amarezza la necessità che lo aveva spinto a „procacciarsi sussistenza” oltre i confini della Patria, mentre „ogni altro trova asilo nella sua!”1 . Orbene quei versi del Temistocle a me pare trovino un commento in questo sospiro nostalgico, che, di tanto in tanto, scuote il petto del Metastasio2. Non era forse anche lui lontano dalla Patria e mezzo sperduto tra il fasto di quella corte straniera un po’ come il Temistocle del suo dramma?

  1. Cfr. Carducci, op. cit., p. 91: „Ogni altro trova asilo nella mia patria ed io ho voluto prendermi un volontario esilio per procacciarmi sussistenza; e, come se ciò fosse poco, mentre io non risparmio sudori per onorarla, mi eccita calunnie per infamarmi”, (Lettera al card. Gentili).
  2. In una delle prime lettere da Vienna (27 gennaio 1731) il povero Metastasio ripensa infatti melanconicamente al carnevale romano ed alle corse dei barberi: „Oggi è appunto il primo giorno di carnevale, ed io son qui a gelarmi” esclama proprio in sul principio, e, per tutto il resto della lettera, questi due ritornelli del carnevale e del gelo si avvicenderanno di continuo. „Dica chi vuole”— esclama dopo una vivace rappresentazione del carnevale romano,— „è gran piacere la forte immaginativa. Io ho veduto il Corso di Roma dalla piazza dei Gesuiti di Vienna!”. E poi, subito, il motivo del gelo con relativa descrizione della neve che „cade continuamente, si stritola e si riduce a tal sottigliezza che vola e si solleva come la polvere nell’agosto”, rincalzata di lamentele d’abate assiderato, e meraviglia non priva di disprezzo per quelle,.bestie” di viennesi, che, con quel po’ po’ di freddo, si divertono un mondo (tutti i gusti son gusti!) a farsi „trascinare in slitta la notte”, ed infine... spiegazione di tanto accanimento contro il freddo e la neve, consistente nell’avere il povero poeta „dato solennemente il c.. per terra, in quel solo passo indispensabile”, che doveva fare per montare in carrozza. Insomma, a legger questa lettera, un po’ si ride, un po’ ci si commuove per l’abate romano, privato crudelmente del suo carnevale e costretto per giunta a camminar sopra „tre palmi di ghiaccio cocciuto più delle pietre”, a farsi mettere „le sole di feltro alle scarpe” per premunirsi contro la..lubricità del paese I”. Persino nello „state allegra”, con cui si chiude questa lettera alla Bulgarelli (o Romanina dei bei giorni napoletani pieni di sole e d’amore!) par di scorgere che, quanto a lui, non era certo allegro e rimpiangeva più ancora che il carnevale e i barberi il bel ole e il dolce clima d’Italia! (fr. Lettere disperse di Pietro Metastasio, a cura di Giosuè Carducci, Bologna, Zanichelli, 1883, pp. 30-32). Cfr. anche la prima delle Due lettere autografe di Pietro Metastasio, pubblicate da E. N. Chiaradia nel Giornale St. d. lett. it. (LIX, 377), datata da Vienna, 3 giugno 1730: „Io sto qui di buona salute, ma poco contento; finora non posso assuefarmi al paese, nè di me posso darvi alcuna notizia perchè la Corte non è paese da conoscersi in così pochi giorni”. Nostalgia e tristezza, senza dubbio come poteva sentirla un abate del settecento, ma non per ciò meno dolorosa!