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nemulcemitei; drept acea hurésce
tòtu nemulcernitoriul’: grevutàtea
fenefaptei in facatoriul de bene:
iar benefaptoriul’, fapta sà buna
intru cèlu nemulçemitoriu li iubesce;
drept àsta osebeiti suentem eo, si Atènàa:
ea m’horresce, eo ù [=o] liubesco
                    ș. c. l.

[Finisce a c. 42 v. coi seguenti versi, con cui si chiude la 2-a scena dell’atto I, fra Temistocle e Aspasia:]


A sortii rele maneia
     nò téme celu ce se anvéça
     a privvei là densa in faça:
     quando ea turba far’cuvvèntu.
Schola è de barbaçela
     a ei cumpleita asupréla;
     cum suentu carmaciului schóla,
     fortune si piovi si ventu,


corrispondenti alla nota arietta:

Al furor d’avversa sorte
     Più non palpita e non teme
     Chi s’avvezza allor che freme,
     Il suo volto a sostener.
Scuola son d’un’alma forte
     L’ire sue più funeste;
     Come i nembi e le tempeste
     Son la scuola del nocchìerj.

Malgrado la tendenza visibilissima a non discostarsi dal testo, neppur quando era addirittura impossibile conservare in rumeno certe peculiarità dello stile poetico italiano, cosi abbondante in inversioni e in costruzioni arcaiche che non trovano riscontro nella lingua de’ latini del Danubio; questa traduzione di Budai-Deleanu, mentre ha il pregio d’essere più delle altre fedele al pensiero del Metastasio, non è poi così ibrida cosa come potrebbe a prima vista sembrare. Pigliamoci un momento la briga di ridurne qualche brano in ortografia moderna, e vediamo che, stilisticamente parlando, può ritenersi persino superiore a quella del Beldiman. Ecco p. es. un brano del dialogo fra Temistocle e Neocle, che, nella nuova veste spogliata degli orpelli