Tanto con l’occhio seguitai, che vera
Alfin m’apparve, a te simìle alquanto, 55Vergin nè tocca nè veduta ancora,
E d’immortal concepimento anch’ella.
Non tenea scettro, non cingea corona
Se non di fiori; e sol di questi vaga,
Fra i color mille, onde splendea distinta 60La verdissima piaggia, or la vïola,
Or la rosa sceglieva, or l’amaranto,
Tal che Matelda rimembrar mi féo,
Qual la vide il divin nostro Poeta
Ne l’alta selva da lui sol calcata. 65Ed ecco alfin, del mio venire accorta,
Volger le luci al pellegrin parea
Piene di maraviglia, e la rosata
Faccia levando, mi parea guardarlo,
E sorridere a lui come si suole 70Ad aspettato. E quando io de la diva
Bellezza innebrïato e del gentile
Atto, con l’ali de la mente a lei
Appressarmi tentai, se udir potessi
Come in cielo si parla, affaticate 75Caddero l’ali de la mente, e al guardo
Tacque la bella visïon. Ma sempre
Da quel momento la memoria al core
Di lei ragiona1. E quando in sul mattino
Leve lo spirto dal sopor si scioglie 80(Allor per l’aria de’ pensier celesti
Libero ei vola, e da le basse voglie
De la vita mortal quasi il divide
Un deserto d’obblio), sempre in quell’ora,
Più che mai bella, quella eterea Virgo 85Mi vien dinnanzi. Or d’oro e d’onor vani
↑Quanta poesia è in questa descrizione, se c’immaginiamo che quella che appare un istante al poeta, e pur tacendo, lo guarda, e sorride e coglie fiori come la Matelda di Dante, possa essere Enrichetta Blondel!