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per modo d’immagine e di somiglianza; in tutte per delle indicazioni della Causa creatrice, inerenti in esse); quando il filosofo roveretano, dietro un’osservazione più generale e più immediata, della natura medesima dell’Essere, osservazione, per conseguenza, feconda di più vasta e varia applicazione, pretende di dimostrare che l’Essere è essenzialmente uno e trino; cos’importa, relativamente al valore scientifico dell’osservazione, che questa sia stata indicata, suggerita dalla rivelazione! Forse che le qualità intrinseche delle creature, e la natura essenziale dell’Essere, non sono materia della filosofia, oggetto della ragione? Si dimostri (vorrei vedere con quali argomenti) che quegli uomini, in vece d’osservare, hanno immaginato; che hanno posto nelle creature, e nell’Essere in genere, quello che non c’è; e s’avrà ragione di rigettar le loro dottrine. Ma escluderle a priori, come estranee alla filosofia; ma opporre al ritrovate la cagione divinamente benefica che diede avvio e mezzo alla ricerca, è (dico sempre riguardo alla mera ragione dialettica) ciò che sarebbe l’opporre alle scoperte scientifiche del Galileo e del Newton la lampada che oscillò davanti al primo, e la mela che cadde davanti al secondo. E quando, dall’avere esaminata la teoria rosminiana della scienza morale, teoria connessa indivisibilmente con l’intero sistema, avrete a concludere che è rigorosamente conforme alla ragione l’amar Dio sopra ogni cosa, e il prossimo come sè medesimo, cosa detrarrà alla forza filosofica de’ ragionamenti, e alla legittimità della conclusione, il riflettere che la filosofia non illuminata dalla rivelazione, filosofia capace bensì di discernere molte verità morali, e di riunirle in teorie giuste e vere, quantunque incomplete, non sarebbe però potuta salire fino a queste verità così principali? Potrete voi dire che, nel riconoscere ciò che non avrebbe potuto conoscer da sè, la ragione non faccia un’operazione sua propria? E ora voi indovinate sicuramente, che uno degli effetti di questa filosofia, de’ quali v’avrei parlato, se non avessi temuto di riuscirvi indiscreto; anzi l’effetto più consolante e più importante, è appunto questo di cui le si fa così stranamente un’obiezione.
Peccato che venga in un cattivo momento, questa filosofia. Avete parlato d’ostacoli che deve incontrare; ma ho paura che abbiate lasciato fuori il più forte: l’orrore o, se vi par meglio, il compatimento della generazione presente per le speculazioni metafisiche. Pensate un poco, se ci fosse qui della gente a sentire, come direbbero: possibile che ci siano ancora di quelli che hanno del tempo da buttar via in queste astrazioni? Anzi non so neppure se vi sareste sentito il coraggio o, se vi par meglio, la voglia di parlare. E davvero, in un tanto conflitto d’opinioni, di voleri e d’azioni intorno a delle realtà così gravi, così vaste, così incalzanti; che gli uomini vogliano prendersela calda per l’entità dell’ idee, e per le forme dell’Essere, sarebbe, se non pretender troppo, certamente troppo sperare. Non mi fate quegli occhi di filosofo sdegnato; chè ora non parlo in mio nome. Intendo anch’io, così per aria, che in una tal maniera di pensare, c’è molto del superficiale. Ma cosa volete? è molto comune e molto fissa. E credo che il vostro autore e quelli che, innamorati della sua filosofia, cercano, con nuovi scritti di diffonderla, avranno a dire per un pezzo ancora: Cecinimus vobis, et non saltastis; lamentavimus, et non planxistis.
Superficiale, è benissimo detto; ma non basta. Dite, falsa e cieca in sommo grado. In ultimo, significa appunto questo: gli effetti sono di tanta