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202 prefazione


Mi rimane a render conto del Coro introdotto una volta in questa tragedia, il quale, per non essere nominati personaggi che lo compongano, può parere un capriccio, o un enimma. Non posso meglio spiegarne l’intenzione, che riportando in parte ciò che il signor Schlegel ha detto dei Cori greci: Il Coro è da riguardarsi come la personificazione de’ pensieri morali che l’azione ispira, come l’organo de’ sentimenti del poeta che parla in nome dell’intera umanità. E poco sotto: Vollero i greci che in ogni dramma il Coro... fosse prima di tutto il rappresentante del genio nazionale, e poi il difensore della causa dell’umanità: il Coro era insomma lo spettatore ideale; esso temperava l’impressioni violente e dolorose d’un azione qualche volta troppo vicina al vero; e riverberando, per così dire, allo spettatore reale le sue proprie emozioni, gliele rimandava raddolcite dalla vaghezza d’un’espressione lirica e armonica, e lo conduceva così nel campo più tranquillo della contemplazione1. Ora m’è parso che, se i Cori dei greci non sono combinabili col sistema tragico moderno, si possa però ottenere in parte il loro fine, e rinnovarne lo spirito, inserendo degli squarci lirici composti sull’idea di que’ Cori. Se l’essere questi indipendenti dall’azione e non applicati a personaggi li priva d’una gran parte dell’effetto che producevano quelli, può però, a mio credere, renderli suscettibili d’uno slancio più lirico, più variato e più fantastico. Hanno inoltre sugli antichi il vantaggio d’essere senza inconvenienti: non essendo legati con l’orditura dell’azione, non saranno mai cagione che questa si alteri e si scomponga per farceli stare. Hanno finalmente un altro vantaggio per l’arte, in quanto, riserbando al poeta un cantuccio dove egli possa parlare in persona propria, gli diminuiranno la tentazione d’introdursi nell’azione, e di prestare ai personaggi i suoi propri sentimenti: difetto dei più notati negli scrittori drammatici. Senza indagare se questi Cori potessero mai essere in qualche modo adattati alla recita, io propongo soltanto che siano destinati alla lettura: e prego il lettore d’esaminare questo progetto indipendentemente dal saggio che qui se ne presenta: perchè il progetto mi sembra potere essere atto a dare all’arte più importanza e perfezionamento, somministrandole un mezzo più diretto, più certo e più determinato d’influenza morale.

Premetto alla tragedia alcune notizie storiche sul personaggio e sui fatti che sono l’argomento di essa, pensando che chiunque si risolve a leggere un componimento misto d’invenzione e di verità storica, ami di potere, senza lunghe ricerche, discernere ciò che vi è conservato di avvenimenti reali.


    E lo dice senza riguardo, sapendo bene che sono mancanze le quali, lungi dal far perdere a un autore il titolo di galantuomo, gli acquistano spesso quello di benemerito. Del rimanente, questo punto è stato toccato in parte nella Lettre à M.r Ch... sur l’unité de temps et de lieu dans la tragédie. E forse, per ciò che riguarda la questione generale, basta osservare che tutta l’argomentazione di quegli scrittori è fondata sulla supposizione, che il dramma non possa interessare se non in quanto comunichi allo spettatore o al lettore le passioni rappresentate in esso. Supposizione venuta dall’aver preso per condizione universale e naturale del dramma ciò ch’era un fatto speciale de’ drammi esaminati da loro, e della quale la più parte de’ drammi immortali di Shakespeare sono una confutazione tanto evidente quanto magnifica.

  1. Corso di Letteratura drammatica, Lezione III.