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132 discorso storico

si possano riferire agl’Italiani. La Nota non lo dice punto: fa come se nel paese dove era promulgata quella legge non ci fossero stati altri che Italiani, nel quale caso s’intenderebbe subito, che la legge dicendo: tutto il popolo, parlasse di loro; anzi non si potrebbe intendere che parlasse di altri. Ma si tratta d’un caso ben diverso: c’erano questi altri: non si può intendere che la legge parli degl’Italiani soli, che attribuisca ad essi il privilegio esclusivo di confermare col loro consenso l’elezione degli scabini: la Nota non ha potuto voler questo. Ha voluto solamente che la legge si riferisca anche agl’Italiani; ma in questo caso era necessario d’indicare il come; perchè, in qual maniera una legge la quale dice: tutto il popolo, voglia parlare e di Longobardi e d’Italiani, non è una cosa che si faccia, intender da sè.

S’ha egli a intendere, domandiamo dunque, che la legge abbia voluto con quelle parole significare tutti gli abitanti del paese, senza distinzione di nazioni? L’autore medesimo, in quel libro medesimo, c’interdice una tale interpretazione. I Longobardi, dice, rimasero sempre stranieri finchè dominarono; ma nello stesso tempo lasciarono l’intero stato dell’Italia come terreno abbandonato a sè stesso 1. Sarebb’egli stato rimanere stranieri all’Italia, abbandonarla a sè stessa; l’unirsi, il confondersi con gl’Italiani, per formare un consenso comune, in materia d’elezione di giudici? Di più, quell’interpretazione non s’accorderebbe nè anche con la tesi. I giudizj, dice questa, saranno tenuti sotto la presidenza di un giudice da noi deputato, ma col concorso e voto collegiale di vostri sapienti, sia ecclesiastici, sia laici, italiani quando i litiganti siano italiani, e e di giudici misti, quando la questione si agiti fra Italiani e Longobardi. Ora, se i giudici dovevano esser distinti, perchè l’elezioni sarebbero state confuse? Perchè, dico, e come mai, se Italiani e Longobardi erano due popoli nell’avere ognuno i suoi giudici, sarebbero stati un popolo solo nel concorrere all’elezioni? Per nominar giudici longobardi, i quali non dovevano giudicare che le cause de’ Longobardi tra di loro, ci sarebbe voluto il consenso degl’Italiani? Si può egli immaginare una ragione per cui i conquistatori avessero voluta, sofferta una cosa simile? Ma che dico? Sarebbe stato quasi ugualmente strano che avessero preso parte alla nomina di giudici italiani per gl’Italiani. Che il vincitore dia de’ giudici ai vinti, non c’è nulla di straordinario; ma eleggerli insieme, che conclusione c’è? Se la Nota avesse voluto che Longobardi e Italiani concorressero insieme alla nomina di giudici comuni, non vedo come la cosa si potesse ammettere, ma s’intenderebbe. Il consenso dato in comune all’elezione di due ordini diversi e separati di giudici, è una cosa che non si può nè ammettere nè intendere.

Qual altra maniera rimane dunqne d’interpretar le parole della legge in un senso favorevole alla tesi? Nessuna, per quello che noi possiamo vedere; meno che, per totius populi consensu, si volesse intendere: col consenso rispettivo di ciaschedun popolo, dell’italiano, trattandosi di giudici italiani, del longobardo, trattandosi di giudici longobardi. Ma chi vorrà supporre che il legislatore si sia espresso in una maniera così strana, così ambigua, o piuttosto contraria alla sua supposta intenzione, mentre era così necessario e insieme così facile il distinguere, se fosse stato il caso? Ci voleva tanto a far come Liutprando, che disse: sive ad legem Langobardorum, sive ad legem Romanorum 2? come Pipino zio

  1. Nel citato paragrafo III, c. III, parte II.
  2. Nella celebre legge 37 del lib. 6, già citata alla pag. 174.