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Perch’io non spero di tornar giammai,
Ballatetta, in Toscana ec. —

ballatetta è diminutivo di ballata; nome di canzoni al canto delle quali guidavasi dalle giovani il ballo. — Nel sonetto qui riportato a’re è sincope di aere in grazia della rima: nè oggi si usurperebbe — caritate vuol dire benevolenza graziosa: in questo verso il poeta intendeva che la beltà della sua donna spirasse a quanto sfavale intorno quel soavissimo fremito che viene dalla meraviglia e dall’amore improvviso — umiltate, suona dolcezza modesta — piacenza, vocabolo disusato e significava amabilità — per salute intendisi grazia di lume divino, necessaria a conoscere i pregi soprannaturali d’una perfetta beltà corporea e morale. — Raffrontisi questo co’ tre seguenti sonetti di Dante, Petrarca, e Giusto: trattano tutti quattro lo stesso soggetto, e quasi ad un modo.

Dante. Non fu ne’ sonetti di tanta felicità di quanta nelle canzoni per le quali, innanzi di scrivere il suo poema, era salito in alto concetto. Nè credo che abbia composto sonetti fuorché in gioventù. Fu di cuore innamorativo; e ancor giovinetto senti il dolore di veder seppellire la bella Angioletta ch’egli aveva amata sin da fanciullo. Vaneggiò poscia per altre donne; fra le quali egli nomina una donzella di Lucca; e il Boccaccio rammemora un’alpigiana, amata da Dante nell’età matura: e non di meno non cantò versi d’amore se non se per la sua Beatrice. E questo sonetto è pieno di vaghi e spirituali pensieri abbelliti poi dal Petrarca; e, se non isbaglio, fu scritto intorno al 1292.

Cino. Pistoiese: era giureconsulto, e ricavò l’idea e le frasi di questo sonetto dalla scienza ch’ei professava. Chiama imperatrice la ragione, come quella che impone leggi alle nostre passioni; e le assegna un tribunale — Secondo le leggi romane rigidissime contro agli schiavi domestici, un servo fuggitivo era punito capitalmente ad arbitrio del