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credono di vedere discevrato dalle umane fantasie, bensì per la moltitudine, parmi provato ch’ella non possa stare senza religione. Nondimeno quel poeta che volesse usare di una religione involuta da misteri incomprensibili, che rifugge dall’amore e da tutte le universali passioni dell’uomo, che tutti i piaceri concede alla morte, ma scevri di sensi, nulla fuorché meditazioni e pentimenti alla vita, che poco alla patria ed alla gloria, poco al sapere, è prodiga a sottili speculazioni, ed avarissima al cuore, che per l’ignoranza o il cangiamento di una idea, per la lite di una parola produce scismi, ed attira le folgori celesti, quel poeta procaccerebbe infinito sudore a se stesso, e scarsa fama al suo secolo1. Che ove cotal religione fosse poetica, chi potea meglio maneggiarla di quell’ingegno sovrano il quale, dopo

  1. L’autore vorrebbe qui provare che il cristianesimo non è una religione poetica; ma a confutare l’opinione di lui basterà, senza far menzione del Paradiso perduto di Milton, della Messiade di Klopstock, e della Divina Commedia dell’Alighieri, accennare gl’Inni sacri del Manzoni, in cui con una lirica nuova, e con profetica fantasia si cantano i più augusti misteri della cristiana religione; cioè il Natale, la Passione, la Resurrezione, la Pentecoste, il Nome di Maria, e i quali sarebbero per se soli atti n chiarir falsa la sentenza dell’autore, che un poeta cristiano procaccerebbe infinito sudore a se stesso e scarsa fama al suo secolo.