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certamente Dante non mai aveva quella fera mirata, nè mai in quel luogo fu; che dunque sapeva egli di lei, che dovesse dire E molte genti fé' già viver grame? Certo la rima grame fece giungere quel verso: poi parlando di Beatrice:
Io era tra color, che son sospesi
E donna mi chiamò beata e bella
Talchè di comandare io la richiesi.
Lucevan gli occhi suoi più che la stella1
certamente aveva affermato, che ella era fornita di bellezza tanto, che lo disponeva ad ubbidire; perchè dunque torna a trattare di sua bellezza, e parlare degli occhi?
Dice altrove:
Ruppemi l'alto sonno nella testa:
Un grave tuono sì, ch'io mi riscossi,
Come persona, che per forza è desta2.
Ditemi, o Strozzi? S'egli dormiva, ed un tuono lo risvegliò, ben conveniva ch'ei si risedesse; ma come persona che per forza è desta, sembra soverchio. Egli un'altra volta scrive:
Sì come ad Arti, ove il Rodano stagna,
Sì, come a Pola là presso il Quarnaro,
Ch’Italia chiude e suoi termini bagna
Fanno i sepolcri tutto il loco caro3.
Qui non diceva egli più schiettamente senza il verso, ch’Italia chiude? Che fa egli? Io non so se io dichiaro l'intendimento mio; pare egli a voi, siccome a me, che facendo mestiere di compire il terzetto, la rima gli ponesse di mano in mano cose, delle quali forse era bello il tacere?
S. Io comprendo la vostra sentenza; ma tuttavia alcuna cosa potrebbesi rispondere.
V. lo ben ne son certo, e moltissime se ne dovrebbono investigare per la riverenza di tali uomini; ma noi qui soletti cerchiamo della verità, e, come è diritto, vogliamo farle onore; e però senza ritrosia dobbiamo consentire, che la rima fa violenza.
S. Ma che? Queste violenze non mandano a terra.
V. Non era tale Dante, nè gli altri, di che favelliamo, che dovessero perdere suo pregio per forza ninna; ma pure vero fu, che scrissero ciò che forse scritto non avrebbono se alla rima non giuravano fede; e mirate, che le ammirabili eccellenze fanno sparire questi sì fatti difetti.
S. Ma non pertanto i difetti ci sono.
V. Ciò alcuno4 oserebbe affermare.
S. Veramente ben fatto il cosi pensare; formasi accusa contro uomini, i quali il mondo non stimerà rei senza argomenti fortissimi.
V. Ogni uomo ha sua opinione, ed ogni opinione ha sue ragioni, e distinguerne le migliori è opera malagevole; non per tanto la nostra mente suole acquetarsi ad un certo termine di verità; ed io ho notati questi detti, non per biasimare chi riverisco, ma per dimostrare lo colpe della rima; ed avvegnaché molti altri luoghi potessi notare, io voglio far punto, bastandomi aver additato il mio proponimento. Voi cercate simili cose per voi medesimo, che spesso ne troverete. E certamente il Petrarca non meglio fece schermo, che si facesse Dante, alle offese della rima. Egli nei Trionfi scrive, che un amico gli disse:
E prima cangerai volto e capelli
Che ’l nodo di che parlo si discioglia
Dal collo, e da’ tuoi piedi ancor rubelli5.
Egli a dietro aveva dimostralo, ch’esso Petrarca ancora non era preso d’amore; ora dunque che fanno qui le parole, da' tuoi piedi ancor rubelli? I capelli vollero cosi. Poco più basso egli scrive:
Mansueto fanciullo, e fiero veglio;
Ben sa chi 'l prova, e fiati cosa piana
Anzi mill'anni, e fin ad or ti sveglio6.
Le parole fiati cosa piana col rimanente non erano da dirsi, che già avea detto e saprai meglio quando fia tuo, com’è nostro signore. Udite similmente ciò eh'è scritto in altro luogo:
Cosi diceva, ed io come uom che teme
Futuro male, e teme anzi la tromba
Sentendo già dov’altri ancor noi preme7.
Qui un verso e mezzo posti fuor via, che il sentimento rimarrà chiarito, nè perderassi alcuno ornamento: ed ancora là, dove dice:
Cleopatra legò tra' fiori e l’erba8:
Tra’ fiori e l’erba ecci davvantaggio; ed ancora colà:
Pensieri in grembo, e vanitale in braccio,
Diletti fuggitivi, e ferma noia,
Rose di verno, a mezza state il ghiaccio9.
Che fanno le rose ed il ghiaccio, favellando secondo la proprietà del linguaggio? Ma se ci voltiamo alle allegorie, poco aiuto ne trarremo; nè più nè meno io affermo, che per comporre il terzetto la rima gli fece cadere dalla penna quel verso. Signore Strozzi, io non voglio passare oltre. Altri leggendo potrà chiarirsi più largamente. Ben voglio far motto dell'Ariosto o del Tasso, acciò io non mostri di prezzar meno loro che i due Fiorentini.
S. Per avventura essi vi renderebbono grazia di si fatto dispregio.
V. In che modo?
S. Non additate le loro imperfezioni?
V. Ma presupponendo la loro eccellenza; e
- ↑ Inf. canto 2.
- ↑ Ivi 4.
- ↑ Inferno canto 9.
- ↑ Qui la voce alcuno sta in forza di niuno; di che altri esempj ha il nostro Autore anche in verso.
- ↑ Trionfo d'amore cap. 1.
- ↑ Ivi cap. 2.
- ↑ Ivi cap. 3.
- ↑ Ivi cap. 1.
- ↑ Ivi cap. 4.