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XII PREFAZIONE

esso ha poi esercitato su tutta la letteratura del mondo, dall’Ulisse di Dante, alla scena finale del Faust1, al poemetto del Pascoli, a vari drammi moderni che con vario tòno riecheggiarlo le armonie omeriche.

Strano che proprio nella letteratura greca posteriore, specie nel Filottete di Sofocle e in qualche dramma d’Euripide, ci sia un’ondata di antipatia verso l’eroe d’Itaca. Ma presto si disperde nella gran simpatia delle epoche piú recenti.

E se pensiamo l’Ulisse dell’Odissea in confronto con gli altri eroi omerici, lo vediamo appunto circonfuso d’un’aureola di maggior simpatia, che deriva dalla sua maggiore umanità. Gli altri eroi, figli di Numi, son troppo protetti dai loro genitori; sicché, dinanzi al loro eroismo rimaniamo perplessi. Ulisse invece è perseguitato dai Numi. Abbandonato a sé stesso, tradito dai suoi principi, dimenticato dai sudditi obliosi, mal secondato da compagni di poca intelligenza, sembra come una simbolica immagine dell’uomo reale, posto, misteriosamente, in orribile solitudine in mezzo alle forze della natura, operatrici d’infiniti prodigi, ma o cieche od ostili. Unica sua alleata, Atena. Atena, cioè la propria intelligenza: cioè, ancora egli stesso. E non si avvilisce, né si piega. O si piega per risorgere piú tenace. Egli potrebbe ripetere il vanto del Prometeo goetheano:


Hat nicht mich zum Manne geschmiedet
Die allmächtige Zeit
Und das ewige Schicksal,
Meine Herrn und deine!

  1. La visione finale di Faust è evidentemente una reminiscenza dell’ultimo episodio, profetizzato da Tiresia, della vita di Ulisse