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più tanto fitte che si toccano le une le altre, così di notte nelle strade come l’Hoog-Straat, non si vede quasi punto muro dal primo piano in giù, e sembra che le case sian tutte sorrette dalle vetrine, e le vetrine si confondono tutte da lontano in due larghe striscie fiammeggianti che fiancheggiano la strada come due siepi accese e l’inondano di luce, in modo che vi si troverebbe uno spillo.

Passeggiando per le strade di Rotterdam, la sera, si vede che è una città riboccante di vita, che si espande; una città, sto per dire, adolescente, nel periodo della crescenza, la quale, come una persona nei suoi panni, si sente d’anno in anno più allo stretto nelle sue case e nelle sue strade. I suoi centoquattordici mila abitanti saranno forse duecentomila in un avvenire non lontano. Le strade secondarie sono formicai di bimbi; ce n’è un ripieno, un ribocco, che rallegra gli occhi ed il cuore. Per le vie di Rotterdam spira un non so che aria di festa. Quei visotti bianchi e rossi delle serve, di cui si vedono spuntare da tutte le parti le cuffiette bianche, quei faccioni sereni di negozianti che sorbiscono lentamente dei grandi bicchieri di birra, quelle contadine coi grossi orecchini d’oro, quella pulizia, quei fiori alle finestre, quella folla operosa e tranquilla, danno a Rotterdam un aspetto di salute e di pace contenta, che fa venir sulle labbra il Te beata dei Sepolcri, non col grido dell’entusiasmo, ma col sorriso della simpatia.

Rientrando all’albergo, vidi tutt’una famiglia