↑140. εἴδατα (εἷδαρ: v. ἔδω): cibi. — χαριζομένη: largheggiando. — παρεόντων, di quel che c’era in casa, cioè, di cibi avanzati e riposti, caso mai giungesse un ospite impreveduto. Così Orazio (S. II 2): Rancidum aprum antiqui laudabant, non quia nasus Illis nullus erat, sed – credo - hac mente, quod hospes Tardius adveniens vitiatum commodius quam Integrum edax dominus consumeret. Ed era un proverbio che ammoniva che bisogna serbar sempre qualcosa, pel caso che giunga un ospite. Qui, naturalmente, non si tratta di cibi rancidi (e del resto, in Orazio, quel rancidum vale magari rancido): Aristarco considerava spurio questo verso, che è, comunque, inutile.
↑141. δαιτρός: scalco. — ἀείρας (αἴρω), non è pleonastico.
↑147. σῖτον: distingui da ἄρτος = pane lavorato, ma qui ha lo stesso significato.
↑148. κοῦροι: donzelli, garzoni. — ἐπεστέψαντο, empirono fino all’orlo, non già, all’uso latino, inghirlandavano di fiori le tazze (cfr. Aen. I 724): il verso ricorre spesso, come anche il 150.
↑149. ὀνείατα, v. ὄνειαρ. — ἴαλλον: ben dipinge l’avidità di costoro.
↑152. μολπή: cfr. μέλος — canto (Hor. C. III 4: «Descende caelo et dic, age, tibia Regina longum Calliope melos), e Melpomene. — ὀρχηστύς: ricorda che l’ὀρχήστρα è quella parte del teatro dove si svolgevano le evoluzioni del coro.
↑153. κίθαριν, a 4 corde, mentre la λύρα ne aveva 7, poi 8 con Simonide, e 9 con Timoteo: questa rappresenta l’ulteriore sviluppo di quella inventata da Amfione re di Tebe.
↑154. Φημίῳ: il nome indica di per sè stesso la sua qualità. Vedi