Pagina:Odi di Pindaro (Romagnoli) II.djvu/91

88 LE ODI DI PINDARO


congerie delle leggende gloriose: anzi s’era prefisso di non trattar mai d’Egina senza glorificare i suoi campioni piú insigni, gli Eàcidi (I. VI, v. 18):

O d’Eaco figli dall’aureo carro,
è legge chiarissima per me, se a quest’isola
io giungo, nei canti onorarvi:

proposito cosí profondamente radicato, che lo ribadisce nella Istmia V (21):

Ma non delizia il mio cuore
senza gli Eàcidi l’inno.

E infatti, tutta la storia mitica d’Egina viene rievocata in queste odi; e della rievocazione poetica è inutile dare qui un duplicato prosastico. Notevole è però un certo insistere di evocazione dei defunti. La canzone dedicata al nipote Pitea deve scendere all’avo Temistio (N. V. 57 sg.). Mega, padre di Dinide, non può tornare a vita; ma per lui e per i suoi canta Pindaro (N. VIII, 52 sg.). Pindaro canta Timasarco; ma se fosse vivo il padre di lui, il citarista Timòcrito, certo avrebbe egli stesso glorificata la vittoria del figlio (N. IV, v. 15). La polvere del sepolcro non basta a separare i vivi dai morti, a render vana la pietà congiunta (κεδυὰ χάρις συγγόνων): forse il Foscolo ebbe in mente l’espressione pindarica); e i defunti riscuotono anch’essi parte degli onori e dei riti dei vivi (O. VIII, v. 77 sg.).

I morti son dunque, nelle odi eginetiche piú che nelle altre, continuamente pensati ed invocati fra i vivi: sono anzi vivi anch’essi della perenne vita dello spirito, presenti fra il popolo. E Pindaro, straniero, e pure legato in qualche modo ad Egina, perché Tebe ed Egina erano sorelle, parla di pro-