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Tanto questa quanto l’Olimpia II sono ispirate alla medesima vittoria, e composte nel 476. Terone era allora al culmine della sua potenza. Ma la diversità di tòno fra le due odi rende ovvia la supposizione che siano state scritte in momenti diversi. La Olimpia II, tutta ombrata e malinconica nella sua divina bellezza, sembrerebbe riecheggiare i tristi momenti che Terone ebbe a passare a causa di Polizelo, di Trasideo, ed anche di Capi ed Ippocrate, suoi stretti parenti, che gli si erano ribellati. Prima che il cielo si intorbidasse sembrerebbe invece composta questa Olimpia III, tutta gaia e festevole.

Essa celebra la vittoria olimpica; ma accompagna insieme una festa celebrata in onore dei Dioscuri e di Elena, loro sorella. I Greci credevano che in certi giorni i Numi in persona scendessero a visitare le loro città; e preparavano ad essi imbandigioni solenni. Ne approfittavano specialmente, come s’intende, i sacerdoti; e, talvolta, anche la povera gente: Aristofane ci scherza su (Pluto 594):

Ad Ecate il quesito
s’ha da far se sta meglio chi è ricco o chi digiuna.
Ché una cena le apprestano ad ogni nuova luna
ricchi e abbienti; ma prima che pronti siano i tavoli,
sparecchiata ogni cosa hanno i poveri diavoli.