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94 LE ODI DI PINDARO


Artemide e Giove, invocati al principio del canto, stanno al canto come le fondamenta alla costruzione, il plinto alla colonna: son dunque fulcro del canto (v. 10). — Il carme elogiativo è un fregio: fregio di erba vivace, che cresce da un germe: Pindaro lo semina (v. 15). — La gloria è un edificio: ha dunque un fastigio: al lume della fortuna questo fastigio risplende come il vertice d’un palagio al sole (v. 12). — Chi censura i buoni, fa come chi gitta acqua nel fumo: il fumo cresce (v. 29), — Le virtú dei padri sono come una catena di monti: se tu attingi le vette supreme, trovi le gesta di Eracle (v. 42). — Le ardite e pittoresche immagini che seguono si devono intendere alla prima e non tormentarle con superflue esegesi.

Abbiamo qui poi, in una delle sue mirabili applicazioni, un motivo prediletto a Pindaro. Mentre si svolge una scena, un personaggio arriva, e, coltala nel suo complesso, si ferma sbigottito a mirarla. Qui è Anfitrione, altrove altri, anche quando non è giustificato tanto stupore da produrre l’immobilità. Il Foscolo derivò da Pindaro questo atteggiamento. Nel suo Aiace vediamo l'eroe:

fra le dardanie faci arso e splendente
scagliar rotta la spada, e trarsi l’elmo,
e fulminare immobile col guardo
Ettore, che perplesso ivi si tenne.