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Shelley fu de’ pochi poeti che ebbero poetica la vita; sì sé potrebbe anzi dire che tutta la sua vita fu una lirica continuata ed inspirata alle idee da lui difese od avversate ne’ suoi poemi; e come altamente lirica fu la sua vita, così tragicamente poetica ne fu la morte. Nato con la rivoluzione francese (Field Place, presso Londra, 1792), egli dovè bere - quantunque di nascosto dal padre, superbo baronetto inglese, e dalla società reazionaria e formalistica dell’Inghilterra di allora- il liquore inebriante e vivificante delle teorie rivoluzionanie.
Entrato a 16 anni nel collegio di Oxford, ne fu cacciato per avere scritto quella sua Mecessità dell’ateismo che nè l’autorità del rettore del collegio, nè la solennità dell’arcivescovo di Cantorbery riuscirono a fargli sconfessare.
Contrario al giuramento, alle formule legali e religiose del matrimonio, nemico delle differenze di grado e di sangue, sposa - lui figlio di un baronetto inglese! — una giovinetta figlia di un oste, ma le dichiara che egli non dà alcun valore morale a queste formule del prete e del sindaco, alle quali si sottomette solo per meglio affermare il suo atto davanti ai parenti ed al mondo.
Socialista in anticipazione di una buona metà di secolo, egli titola di ingiustizia sociale e di immorale il principio dell’eredità pecuniaria, e il giorno in cui ridotto solo e povero come Giobbe gli viene offerta, dal padre impietosito, una rendita di 50,000 franchi all’anno, rappresentata da un capitale di 120,000 sterline, a condizione però che egli trasmetterà il capitale sulla testa del suo primo figlio nascituro, egli scoppia in un rifiuto indignato e scrive ad una sua amica, miss Hitchener, delle parole che è bene riportare, perchè ove Shelley non avesse all’attivo dell’ammirazione umana che questo gesto, questo dovrebbe bastare a far noto e rispettato il suo carattere. «Ah! — egli grida - vecchi rimbambiti! Con quale faccia possono essi farmi una proposta così insultante, così odiosa! Che io debba assegnare un capitale di 120,000 sterline a qualcuno che io non conosco ancora e che invece di essere il benefattore dei suoi simili potrebbe esserne il flagello... No! Voi non me ne supponete capace, non è vero?»
Ah! Io non voglio qui parlare degli uomini in generale presso dei quali voi potrete sempre trovare chi per un’idea sia pronto più presto a dar la vita che la borsa, ma io parlo dei poeti, che rappresentano la parte ideale dell’umanità, che portano il nome che l’Alighieri ha detto esser quello che più dura e più onora, e cerco e cerco nella mia mente il nome di quale tra quelli che più amo e venero sarebbe stato capace di questo piccolo gesto di cui Shelley non parlò mai, seguitando a sopportare ancora a lungo il morso assiduo della miseria, e che rimase ignorato fuori della cerchia delle mura familiari e non ebbe nè il plauso nè il fremito approvatore della folla.
Ma tutto fu luce e poesia, e bontà e disinteresse, in questo giovinetto cacciato dalla scuola, in questo giovine misconosciuto dalla famiglia, in questo pazzo Shelley messo al bando della buona società inglese e le cui opere furono chiamate sataniche.
Egli ebbe, durante tutta la sua così piccola vita, tratti di carità così ardente, che andavano dagli uomini tutti sino alle bestie, che talvolta viene involontariamente fatto di rassomigliarlo al mistico fraticello di Assisi.
Povero, quando avrebbe potuto esser ricco, donava il suo poco con tale assenza di pensiero egoistico che ogni volta che donava, il donato diveniva necessariamente più ricco del donatore.
Io insisto su questo lato del carattere di Shelley perchè è bene che si sappia - anche oggi! - che si può avere il cuore generoso e buono e aperto ad ogni più tenero sentimento di carità ed altruismo anche senza credere in Dio — si chiami Jeova, Zeus o Giove o altrimenti e senza aspettarne la centuplicata paradisiaca rimunerazione, di cui forse i preti insegnarono primi la formola al povero pezzente che stende la mano.
Che se poi nella religione si vuol vedere qualchecosa di più nobile che le rigide formalità del culto, allora è ingiusto dire che Shelley non avesse religione. Egli ebbe un’alta religione, ben migliore di quella per cui si bruciano gli incensi in chiesa e gli uomini sulle piazze; egli ebbe una religione a base della quale invece della fede era posta la carità.
Allorquando Shelley si trovava a Marlow, egli fu colpito dalla miseria degli abitanti, e miss Madocks, incaricata da lui di distribuire le elemosine, cinquant’anni dopo la morte del poeta, gli rendeva questa testimonianza: «Ogni luogo che egli ha visitato è sacro; egli portava raramente del denaro sopra di sè, ma noi ricevevamo dei numerosi biglietti, scritti